sabato 16 giugno 2012

Un anno un giorno

Oggi sono passati ufficialmente un anno e un giorno da quel fatidico 15 Giugno 2011.
Ci aggiungo un giorno perchè proprio questo giorno di un anno fa, mi ricordo di svegliarmi in ospedale e di cominciare a vedere il mondo con altri occhi.
Il 15 giugno stavo dentro un enorme marchingegno e mi dicevano che qualcosa non andava.
Beh, c'è sempre qualcosa che non va, pensavo allora.
E poi è iniziato tutto.
Ci sono momenti che mi piace ricordare, altri no.
Ecco quel momento lo tengo stretto tra i ricordi, quel momento in cui il tempo ha iniziato a scorrere in un altro modo.
Non bisogna arrivare a svegliarsi in un ospedale per comprendere certe cose, ma devo dire che mi ha favorito la comprensione.
Oggi è una giornata calda, torrida, afosa,  proprio come un anno fa.
Un anno racchiude in se così tante cose ma anche un istante soltanto ci vuole per pensarlo.
Quando mi immagino un anno, nella mia mente compare l'immagine di quell'anno come un film veloce mandato avanti tutto di fretta. Ci sono alcune parti che vorrei fermare e sostare su immagini qualche altro anno, ma altre che invece mi piacerebbe oscurare e dimenticare.
Ma tutto ciò è passato, come tra poco passato sarà ciò che in questo momento sto scrivendo e sono seduta su questa sedia a questo tavolo.
Guardo fuori, c'è il sole.
Ed io mi vado a tuffare.
Domani dove mi sveglierò?
Buon weekend.

giovedì 14 giugno 2012

Lezioni di felicità #1


La felicità è una parola consunta da quanto è stata utilizzata, un po' come le parole cuore, amore, fiore, raggio di sole.
Una volta che si ripete tante volte una parola inizia  a perdere il suo significato, ci si concentra così sulla sua sonorità e sulla vibrazione delle corde vocali che producono con il passaggio dell’aria.
Se si prova poi a ripetere una parola tante volte ad alta voce, essa non sembrerà più una parola, ma uno strano e buffo verso, e chi la emette si sentirà di assumere piano piano le sembianze di un essere più vicino alla scimmia che all’uomo sapiens.
Insomma, le parole senza il loro significato sono semplici, inutili versi.
Felicità nell’immaginario di tutti è  spesso una parola che appartiene a quel'universo in cui la luce del sole è rosa, gli alberi sono sempre in fiore, le città sono piene di campi di girasole, si lavora un’ora al giorno, e gli uccellini rifanno il letto. In quest’universo le persone sono sempre gentili tra loro, si guardano con occhi a cuoricino, si dichiarano amore eterno ad ogni secondo e ognuno vive in totale equilibrio con tutto ciò che esiste.
Niente di più lontano dalla “realtà”.
Allora se veramente ci si vuole imbarcare in questa storia della felicità, è forse necessario come primo step iniziare a definirne il significato. 
Apro così il Grande Dizionario della Lingua Italiana (che sbuca fiero e autorevole dalla libreria proprio accanto a me) e dentro di me penso che è stata un’idea geniale e che potevo pensarci prima a cercare il significato della felicità sul dizionario, ma la mia esuberanza viene sgonfiata dal primo significato: 1. L’essere felice; stato o condizione di chi è felice.  Bene grazie mille, fino a qui ci arrivavo: iniziano ad insinuarsi i primi dubbi riguardo la semplicità di questo argomento.
Ecco allora risalgo alla parola precedente e alla voce “felice” trovo: detto di una persona, che ha piena contentezza d’animo, temporaneamente (sono felice di vederti) o in modo duraturo (pochi sono gli uomini felici a questo mondo); nel secondo significato equivale talvolta a “fortunato”.
La felicità secondo il dizionario sembra quindi essere qualcosa o di temporaneo e dipendente dall’incontro con qualcuno, oppure qualcosa di estremamente raro riservato a pochi fortunati.
Una tragedia insomma: verrebbe quasi voglia di gettare la spugna.
Ecco allora perché siamo tutti così un po’ affranti e lontani dal condurre delle esistenze felici: il nostro vocabolario della lingua italiana ci dice di associare alla produzione vocale della parola “felicità”, un significato di per sé così poco felice e in ogni modo molto distante da quell’universo rosa che si dipinge nella nostra mente all’udire di quella parola.
Che cosa è accaduto?
Dove è finito l’universo rosa che sognavamo sempre da bambini, in cui tutto era possibile e ogni essere umano coopera e collabora per il bene dell’altro in estrema gentilezza? Dove l’amore dura per sempre e non esistono inverni?
Io credo che tra l’universo rosa e la definizione del dizionario DeAgostini ci sia tutto un universo da scoprire.
Io non credo che la felicità sia temporanea e dipendente da un incontro con qualcuno e basta. Come non credo che sia qualcosa di irraggiungibile e riservato a pochi eletti.
Ma che cos’è veramente questa “contentezza d’animo” ?
La contentezza è il “sentimento intimo di chi è tranquillo perché pago del suo stato” (Cit. Dizionario).
La felicità ha quindi  a che fare con il riconoscere e sentirsi appagati del proprio stato esistenziale. Beh, roba facile (!!!), soprattutto di questi tempi. Chi si sente pago del suo stato?
Questa domanda recherebbe soltanto ennesima frustrazione.
Io credo che per parlare di felicità bisogna spostarsi dalla grammatica italiana alla fisica.
Immagino la felicità come una stazione radio, una frequenza, alla quale chi vuole si può sintonizzare e non è dipendente da nessuna condizione esterna, se non da una scelta consapevole interna, quella di viverla e di spostare la manopola della nostra radio finché non ci sintonizziamo sulla giusta stazione: un po’ come quando stiamo in macchina e cerchiamo quella stazione radio che ci piace tanto. E’ qualcosa di accessibile e alla portata di tutti, la cosa vera è però  che non tutti sanno dell’esistenza di questa “manopola” oppure seguono troppo alla lettera le definizioni di un obsoleto dizionario della lingua italiana.
Non voglio di certo dire che si può stare sintonizzati sempre sulla stessa frequenza radio, anche perché altrimenti che noia (!), ma credo fortemente che possiamo essere liberi di poter cambiare stazione molto di più di quello che crediamo.
Ovviamente ci sono momenti in cui la radio non prende, ci hanno rubato l’antenna, stiamo nel mezzo di una galleria, oppure nel mezzo di una tempesta, oppure ancora quel giorno non ci va di ascoltare la radio, oppure la pila è scarica o non c’è corrente.
Insomma la felicità tranne in alcuni casi di “forza maggiore”,  è proprio li davanti a noi e aspetta soltanto che ci sintonizziamo.

Mitica.

martedì 12 giugno 2012

Raggio-terapia

Sono le 8.12 del mattino e sono in macchina, è una giornata di sole di quelle che arrivano dopo due giorni di pioggia e temporale e quindi vale “doppio”, mi dico, ed è proprio così: si apprezzano le giornate di sole intensamente e veramente soltanto dopo qualche giorno di pioggia.  C’è quella sensazione nell’aria di leggerezza e finalmente le nuvole si sono spostate lasciando spazio ai raggi del sole di riscaldare con il calore giusto che ci si aspetta in questo periodo dell’anno: già troppo caldo per quest'ora del mattino.
Mi viene da ringraziare la pioggia, le nuvole nere dei giorni passati  che affollano il cielo e lo nascondono e ti fanno pensare che sia tutto perduto : sembra che le nuvole stesse stiano per crollarti addosso e tu non sei forte abbastanza da reggere tutto quel peso che finirebbe con l’annientarti.
Ma succede che quando meno te l’aspetti, le nuvole si aprono e lasciano al loro posto il cielo azzurro,  e ti liberano dall’idea di dover portare sopra di te tutto quell’infinito peso (che poi altro non è che acqua condensata).
Bene: mi trovo adesso sull’Aurelia, la grande e maestosa via Aurelia che collega Roma alla Francia costeggiando metà Italia, e per un attimo penso di fare quel viaggio e continuare dritta finchè non finisce: sbattermi contro il confine immaginario che separa Italia-Francia, e oltrepassarlo.
Ho tantissima voglia di viaggiare, di salpare, di prendere il largo e non tornare più, e sto mettendo a dura prova la mia pazienza in questi mesi. Ma dopotutto che cos'è la pazienza se non la ruota di scorta della macchina che ci permette di attraversare la vita?
Questa volta non posso continuare la strada e mi tocca svoltare  prima e fermarmi, alla clinica che si trova proprio lì per la seduta quotidiana radioterapia che ho iniziato da qualche settimana.
Sono in anticipo, pensavo di metterci molto di più, ma il traffico di Roma è stato clemente questa mattina, sarà stato il sole che ha invogliato tutti i moticiclisti a lasciare la macchina parcheggiata e sfrecciare tra le strade di roma sopra le loro due ruote.
Mi accosto dall’altro lato della clinica, c’è un giornalaio dove acquisto una  di quelle riviste complicate che mi piaccino tanto e piene di articoli fitti che già so rimarrà per diverse settimane sulla mia scrivania, ma proprio per questo mi piace perché non fa parte di quelle riviste usa-e-getta piene soltanto metà di pubblicità e l’altra metà di parole incollate solo per parlare che finiscono automaticamente nel cestino dopo una giornata.
Apro la rivista, a caso, e leggo una citazione di Marcel Proust “il vero viaggio di scoperta non è vedere nuovi mondi, ma cambiare occhi”.
Immediatamente quel senso di fuga e di voler continuare a tirar dritto sull’Aurelia fino alla costa azzurra, svanisce, alzo lo sguardo e davanti a me scorgo la scritta “Matrix Bar”.
E capisco di essere arrrivata all’inizio di un nuovo viaggio.
Quel bar grigio e polveroso, ma con quella scritta al neon verde, immediatamente mi “risveglia” e sento che questa mattina la seduta di radioterapia non sarà soltanto una banale terapia.
Non credo che mai avrei potuto pensare di dovermi sottoporre ad un raggio che emani la potenza del sole concentrato su una parte del mio corpo. Già di per se questa è un esperienza stra-ordinaria. Immagino che quel raggio mi possa illuminare in qualche modo e che dopotutto anche nel film di Matrix, il protagonista ha dovuto assumere una pillola-farmaco per iniziare a “vederci chiaro”. E’ come se avessimo bisogno di qualche tipo di “aiuto” esterno per poter compiere il viaggio.
Entro nella sala della radioterapia: perfetto set di una pellicola di fantascienza.
Si entra nel “bunker” attraversando un enorme  porta blindata molto pesante che  assomiglia a quelle porte che dividono gli ambienti nel film starwars. La pesante e spessa porta di accesso conduce ad una grande sala in mezzo alla quale c’è questa macchina che sembra un incrocio tra quella che usano gli alieni quando rapiscono gli umani e fanno loro esperimenti di ogni tipo e un enorme microscopio.
Ci si posiziona sotto, sopra un materassino “personalizzato” con lo stampo del proprio corpo precedentemente preso e che servirà per riprendere la posizione nelle sedute successive e si resta  immobili aspettando che il tecnico faccia le sue manovre di routine. La figura umana all'interno della sala è l'unica cosa che mi riporta ogni tanto a ricordarmi che per fortuna o per sfortuna, che non sono su una navicella spaziale insieme ad E.T.
Ad un certo punto si spengono le luci e ci si ritrova al buio totale con fasci di laser rosso che puntano in ogni parte del corpo per allinearlo esattamente nel punto in cui poi il raggio andrà a trattare la zona interessata. Appena il posizionamento millimetrico è stato fatto, si accende una luce verde (un po’ simile a quella rossa delle diretta radio) e inizia a sentirsi un rumore meccanico che presumo sia quello dell’attivazione del raggio.
Questa esperienza alle 8 del mattino è ai confini tra l’onirico e il reale: ancora non ci si rende conto che la giornata è iniziata e si vive un esperienza veramente fantascientifica.
La radioterapia ho il sospetto che funzioni per effetto placebo, in realtà.
Non si sente nulla, è soltanto tanta scena (ovviamente nel mio caso il dosaggio è molto basso e dipende da soggetto a soggetto). 
Tutta questa operazione si conclude in pochi minuti.
Riemergo  in superficie uscendo dal bunker, il sole è così forte che mi devo mettere gli occhiali,  e mi chiedo se questa esperienza sia realmente accaduta o meno.
Alla fine cos’è che rende reale quello che viviamo?
Sono di nuovo in macchina, immersa nel traffico cittadino oramai, e guardo dall’altra parte della strada verso il “Matrix” e vedo la scritta che si allontana nello specchietto.
Mi sento più luminosa.

foto scattata poco prima dell'irraggiamento

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