giovedì 23 febbraio 2012

E' severamente vietato?

La primavera in questi giorni sembra aver donato un anticipo di sé, quasi a voler ribadire che prima o poi arriverà e che l’inverno è soltanto un freddo momentaneo. A Roma, perlomeno, l’inverno è qualcosa di veramente passeggero e fugace. Il freddo vero non persiste per più di un mese, e per tutto il resto dell’anno il clima è perfetto. 
Sto veramente parlando del tempo? Qualcuno mi fermi.
Cerco un modo per evadere da queste quattro mura, ma oggi proprio non ci riesco. E’ come se avessi esaurito la mia fantasia, “puff”, svanita, come una scatola di biscotti mangiata troppo in fretta. 
Ho paura quando accade questo, quando sento che non ho più riserve e neanche una  cartuccia da sparare.
Mi sento sospesa in un limbo, galleggio nel tutto-nulla dell’esistenza, oramai mi sento che sto perdendo la mia identità, mi sto smaterializzando, dissolvendo.
Per fortuna però esistono queste grandi finestre sulla città, che mi aiutano a scrutare, a guardare tutto da lontano e mi sembra che niente passi inosservato al mio sguardo indagatore. 
Ho sempre amato guardare le cose dall’alto. 
Ogni viaggio che faccio, ogni città nuova che vedo, il mio primo desiderio è quello di raggiungere il punto più alto, e non mi do pace finché non scopro dove si trovi. Diventa il mio obiettivo principale: costringo la/lo sventurata/o che è con me in questa missione che deve essere portata a termine entro le 24 ore dall’arrivo. 
Non riesco a spiegare cosa sia quella sensazione che mi spinge nella ricerca, è quasi un senso di claustrofobia mischiato ad una  necessità  di sollevarmi da terra. Una volta raggiunto quel punto, che sia esso un grattacielo, una montagna, un monumento della città, finalmente sento che dentro di me qualcosa trova il suo posto: riuscire a percepire i limiti estremi di una città mi da un senso di pace rassicurante. 
Non sempre è possibile vedere dove finisce una città, mi ricordo quando sono stata a Città del Messico, una delle metropoli più grandi al mondo, e sono salita sul grattacielo più alto era impossibile distinguere l’inizio e la fine di quell’enorme mostro pulsante di più di 22  milioni d'abitanti. L’unica cosa che sembrava fermare la folle espansione urbana, erano le montagne in lontananza: come a testimonianza che l’uomo può anche illudersi di avere un ruolo influente su questo pianeta, ma le montagne per fortuna ancora non è riuscito a spostarle.
Sono rinchiusa da due settimane in questo “oblò sulla città”, che ho imparato ad amare, ho modificato e trasformato con la mia presenza. Mi dico anche che due settimane alla fine non sono nulla,  e che il tempo scorre. Queste 15 giornate hanno scolpito dentro di me un’esperienza significativa e che adesso mi sento addosso, sento che fa parte di me.
Sento che quest’esperienza non sarebbe stata la stessa senza quelle finestre enormi, che mi permettono di osservare la mia città fino ai suoi limiti più remoti: se c’è il sole riesco a vedere le montagne ancora innevate, che per fortuna sono molto diverse da quelle messicane.
C’è solo un piccolo particolare che mi ha infastidito fin dal primo giorno: quella scritta.
Le finestre sono belle perché si possono aprire, ma ti passa la voglia leggendo “è severamente vietato aprire le finestre”. Mi sono sentita violentata la prima volta che l’ho letta, ho sentito che  con le finestre anche la mia immaginazione doveva rimanere severamente chiusa. Io capisco che è un motivo strettamente igienico, ma lo trovo alquanto bizzarro.  
“Nell’aria fuori ci sono microbi pericolosissimi che porterebbero contagiarti visto che le tue difese immunitarie sono drasticamente calate” direbbe qualche medico e potrebbe essere anche vero certo, ma non del tutto, almeno non per la mia fervida immaginazione che si sente costretta e privata di preziosissima aria fresca.
Come faccio con quel “severamente chiuso” ad uscire e fuggire da qui, a sollevarmi sulla città come un gabbiano di città (assurda questa cosa dei gabbiani),  e nutrirmi di ciò che mi spetta?
Semplice: apro la finestra.
Va bene, lo ammetto,  può non sembrare una mossa così incredibile, ma questa piccola non curanza della “legge”, mi fa sentire così piena di vita. Questo è il mio piccolo segreto che voglio allora confessare: ogni sera dopo il tramonto quando sono sola, tengo la finestra aperta per almeno una mezzora, giusto il tempo di permettere all’aria di entrare e alla mia mente di uscire. 
Mi sembra uno scambio equo, e non faccio male a nessuno.
Oggi mi sono seduta sul davanzale sotto la finestra, l’ho aperta  proprio durante il tramonto e mi sono concessa di immergermi di quei colori incredibili  regalati dalla  precoce primavera romana.  Mi sarei volentieri sorseggiata un bicchiere di rosso, ma rido sotto i baffi pensando a quanti me ne berrò tra non meno di 72 ore. “Ce l’ho quasi fatta” ho pensato, e anche se questo non è il mio ultimo ricovero, in fondo non è stato così male isolarmi per questi giorni e guardare le cose dall’alto ma anche: non aver voglia di muovere un dito, rivalutare la mia posizione su molte cose compreso il non vedere mai la televisione, mangiare sconsideratamente solo per noia, ascoltare il suono del silenzio anche per ore, dormire all’inverosimile, scrivere sui muri frasi senza senso, non spostarmi per più di 3 metri dal posto dove ho dormito, leggere libri che non avrei mai letto, guardare film che non avrei mai visto, cimentarmi nel disegno con i pastelli, la mattina rimanere in dormiveglia per un’ora cercando di ricordarmi quel sogno, aver voglia e bisogno di non far parte del mondo.
Sono tutte cose che dimenticherò in fretta, lo so, che saranno riassorbite velocemente dalla vita la fuori, che adesso sento in attesa e desiderosa di essere vissuta ma che allo stesso tempo mi sembra così lontana così come mi sembra lontana da quassù la cupola di San Pietro: una minuscola cunetta di marmo assorbita da una distesa di palazzi.
Ho capito però che potrei fare e rifare questo ancora, rimanere sospesa, isolarmi per un po’,  ma vi prego,  se riaccade, non vietatemi mai più di aprire quelle finestre.


ecco la scritta, e il tramonto.

4 commenti:

  1. Cara Francy, sei dolce, intensa e forte nei tuoi racconti. Sai farci emozionare e desiderare di riabbracciarti! È troppo presto pensare di rivederti a Ripe il 3 marzo? Altrimenti verró io dalle tue parti ;-)

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    1. Ciao Stefy, mi piacerebbe molto venire a Ripe. Adesso devo soltanto riprendere i ritmi e organizzarmi per la fuga! :-) Qui sei sempre la ben venuta. un abbraccio.

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  2. Dentro di te è aperta una finesta grandissima che ti fa vedere il mondo

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