sabato 31 marzo 2012

Statement

Ritengo sacrosanto il diritto di ogni essere su questa terra di potersi esprimere come meglio crede, seguendo quella pulsione che ci porta tutti quanti in qualche modo a tirar fuori la bellezza   (intesa con il suo significato classico del termine) celata e a volte sepolta dentro l'anima di ognuno.
Quante volte soffochi quella voce? E' la voce che parla senza quasi farsi sentire, ma è la più importante.
Ogni volta che rinunci ad esprimerti, a ricalcare quella voce, a tirar fuori quello che veramente senti è come se piano piano ti costruissi una maschera sempre più densa e pesante, sotto la quale è difficile respirare.
Privarsi di ciò che si prova realmente è un attentato a se stessi.
Evitare di esprimersi per la paura, vuol dire non accettarsi e negarsi.
La verità non è la stessa per tutti, ma ognuno ha qualcosa da dire.
Esprimersi, vuol dire esistere.
Esercizio per oggi: decidi di esprimere qualcosa che senti e che hai tenuto a lungo dentro di te. Un buon metodo è quello di scrivere, dipingere, oppure fare una foto che sia significativa.
Non dimenticare di ascoltarti, inizia da adesso.

tavolozza di colori




lunedì 26 marzo 2012

...# 3, 4 e 5: L'analyse anthropologique.

Improvvisamente il tempo ha iniziato a scorrere velocissimo e sono stata risucchiata in un turbinio di eventi che si sono successi uno dopo l’altro senza in realtà poi aver un nesso tra di loro, ma questo solo apparentemente.

E’ stato come  viaggiare tra una dimensione ed un'altra. In questo turbinio fermarsi a scrivere è stato veramente impossibile.
Sono tornata nella mia città, nella casa che non vedevo da quasi un anno a causa del problema dell’ascensore mancante, che abbiamo dovuto far montare apposta  e che mi ha però permesso di girovagare senza una fissa dimora per mesi e mesi concedendomi così di fare un viaggio nel viaggio.
Sono seduta alla scrivania che mi ha accompagnato per tutti questi anni, qui ho studiato, ho scritto, ho letto libri, ma anche mi ricordo momenti in cui rimanevo a fissare il muro davanti a me e andarmene con i pensieri in giro per la mia mente. Queste sono le mura che mi hanno vista crescere, questo è il posto che in genere si chiama “casa”. Già sono tornata a casa. Questa volta sento che è proprio così.
Osservo come tutto sia rimasto uguale, perfettamente lì, dove lo avevo lasciato il 17 giugno quando mi hanno portato all’ospedale e li è iniziato tutto. Quel giorno faceva caldo, quasi come oggi, e tenevamo le finestre di tutta casa aperta. Mi ricordo quella sensazione che si ha quando qualcosa sta per accadere, quel qualcosa che sai che cambierà tutta la tua vita per sempre. Come sono adesso? Sono molto diversa, sono completamente diversa da come ero quel 17 giugno, ma sento che sono in piena trasformazione, e mi sento che devo ancora arrivare alla fine del processo.
Guardo fuori dalla finestra, la “casa rossa” (così chiamata da mia sorella ed io da quando eravamo piccole..e anche li ne avrei da raccontare) e lascio che le immagini di Parigi mi scorrano davanti.
Sono state 72 ore incredibili, e grazie all’abile guida di mio cugino, abilissimo cicerone e una delle persone più world-connected che io conosca, ho avuto insieme a mia sorella l’occasione di conoscere Parigi in tantissime delle sue vesti.
Parigi si trasforma, si maschera, sa essere una donna elegantissima che si agira per le vie del Le Marais, ma anche una prostituta in un sexy-shop di Pigalle. Questo è ciò che adoro della Ville: il suo trasformismo.
Venerdì sera è iniziato con un aperitivo in una delle piazze più incredibili di Parigi: place du Dauphine, sull’Ille de la Citè. E’ l’isola sulla quale c’è anche la cattedale di Notredame, un po’ come la nostra isola Tiberina in grande, peccato poi che però i parigini ne hanno anche un'altra piccolina dietro (Ille Saint Louis)  che sembra un po’ un rimorchio di quella più grande: infatti le due isole sono collegate da un ponte (uno dei posti più belli di Parigi, forse il mio preferito) che sembra un cordone che le tiene unite.
Aspettiamo sedute ad baretto di alcune ragazze spagnole, il cugino che ritarda un po’, ma si fa perdonare, rovesciando sul tavolo un intera busta contenente…reggiseni! Ho capito che dal quel momento in poi sarebbe iniziata una spirale infinita che ci avrebbe lasciato andare, sfinite e frullate, soltanto una volta messo piede a Fiumicino.
Erano dei reggiseni enormi, avanzi di fabbrica (lui lavora nella moda come del resto l’80% delle persone che si trasferiscono li a vivere) e avevano scaricato una scatola in più così ecco i reggiseni per le cuginette.
Dall’aperitivo in reggiseno in poi il venerdì è continuato senza tregua: prima un ristorantino molto carino vicino place des Voges (bellissima), dove ci siamo rallegrati con del buonissimo vino rosso che ha facilitato la comunicazione con chiunque si avvicinasse al tavolo, soprattutto con i camerieri che oramai ci avevano preso in simpatia; e dopo cena la serata, che ricordo confusa e divertente, si è svolta tra un locale (uno dei più inn di Parigi) che si chiama il “Silencio”, costrutito dal visionario pazzo di David Lynch, sotto terra e dove tutto c’è che tranne che silenzio (forse un po’ nei meravigliosi bagni super lussuosi); per poi concludersi in un posto assurdo che si chiama “teatro rouge”, nella zona di Pigalle tra un sexy shop ed un altro dove si ballava a ritmo di musica elettronica..
Mi scorrono immagini veloci nella mia testa, fino ad arrivare al sabato: giornata di relax e lentezza vera in cui era d’obbligo riprendersi dopo le follie della notte precedente, almeno fino al calar del sole.
Siamo stati così a casa, avvolti da una bellissima atmosfera familiare e riscaldati dal sole improvviso e caldissimo che illuminava tutti i tetti di parigi. Fuori dal terrazzo di casa, arrivavano voci dal mercato, dei bambini che giocavano.. un vero idillio, interrotto soltanto ogni tanto dai rintocchi del capanile che rigoroso e puntale ci ricordava il passare del tempo. In alto sui tetti, il sabato scorreva lento e pacifico.. ma una volta scesi di casa per trovare qualcosa da mangiare siamo stati catapultati in una dimensione che di sereno e pacifico aveva ben poco. Gente, gente e gente, che invadeva le strade, i negozi, i marciapiedi. Tutto era gremito, invaso e invadente: i parigini impazziscono per una giornata di sole, visto che il clima dalle loro parti non è molto indulgente. Sembrava che da qualche parte regalassero oro, e la gente sembrava alla disperata ricerca di quel posto.
Questa volta lo slalom era più difficile, ma solo per pochi metri fino ad arrivare a prendere una succulenta crepè in un posto interamente dipinto in ogni suo angolo di rosa, dove dietro un bancone pieno di merletti e fiocchettini, due ragazze asiatiche di una bellezza eterea anche loro infiocchettate e piene di pizzi rosa, con eleganza ed estrema lentezza religiosa farcivano le crepes di ogni tipo incredibile di ripieno. Quella è stata la crepe più dolce e delicata che abbia mai mangiato in vita mia.
Dopo aver trovato un po’ di sollievo nella nuvola rosa, ci siamo subito ridiretti a casa, a cercare scampo dalla folla impazzita.
Trovarsi nel mezzo di un gruppo di esseri umani genere maschio tifosi della roma, e nello stesso tempo a Parigi può generare qualche minuto di inquietante smarrimento spazio-temporale. Sabato è stato anche il giorno della partita Roma-Milan, e siccome mio cugino è uno dei pochissimi che ha la parabola istallata ecco che vedere la partita a casa sua è diventato un rito che oramai è di regola da mesi.
Ho sempre avuto un profonda invidia per il cameratismo maschile e quell’indissolubile legame che sembra crearsi in occasioni del genere. Forse è per questo che al liceo mi trovavo molto spesso a stare di più con i maschi che con le femmine. Ho sempre ammirato il loro ragionamento lineare e razionale più di quello femminile. Tra noi donne è molto diverso, i gruppi di amiche stile “Sex and the City”, non esistono. Almeno esistono per un po’ di tempo ma poi rischiano di disintegrarsi tra una sindrome premestruale ed un'altra. Secondo me dovremmo iniziare anche noi a seguire qualche genere di sport, riunirci con il solo intento di sederci di fronte ad un enorme schermo e sentirci parte di una squadra, e sfogare così le nostre pulsioni più primitive, senza chiacchere superflue.
La partita è stata accompagnata però da urla abominevoli, del tipo “ ma l’ha toccata con un braccio, l’ha visto pure mia nonna!” oppure “Stava entrando a piotte quello.. dalla tutta!!” e io stavo li a godermi, ridendo sotto i baffi che avrei voluto avere questi divertentissimi sfoghi di testosterone, sorseggiando un bicchiere di vino e guardando fuori dalla finestra una Parigi che in quel momento era diventata una silenziosa complice.
Dopo le ennesime urla ma anche sonore imprecazioni (la partita è finita 2-1 per il Milan), la serata ha ripreso immediatamente un impennata di stile, mio cugino doveva raggiungere per cena alcuni amici e colleghi in uno dei ristoranti più extra lusso di Saint-Germain, dove per entrare bisogna avere una macchina con autista, qualche diamante incastonato da qualche parte e per le donne una sola e banalissima clausola: essere assolutamente perfette. Vi lascio immaginare la faccia mia e di mia sorella di fronte a tanta bellezza e perfezione femminile: non c’è nulla da fare è vero il mito delle parigine. Ho capito la sensazione che ha una casalinga, madre di 7 figli, con 20 chili di più visto lo stress, le gravidanze e il cibo ossessivamente ingurgitato di conseguenza, che si ritrova a sfogliare le pagine di “Vanity Fair” e sentire ancora di più il peso della sua vita lontanissima dalla quella apparente perfezione che ti viene sbattuta in faccia tra una pagina patinata ed un'altra.
Ci siamo così rifugiate in bagno cercando un po’ di sollievo e per truccarci un pochino e mentre ci specchiavamo, non per niente contente di quello che vedevamo quella sera, ecco entrare ogni 3 minuti e andare in bagno una sfilza di bionde magrissime e altissime, perfettisime, ed io e mia sorella sbigottite volevamo soltanto affogarci nel lavandino.
Siamo così scappate da una serata che si preannunciava essere drammaticamente devastante per la nostra autostima, con un “non vogliamo fare tardi stasera..” e una telefonata ad un amico improvvisamente ricordato che abita a Parigi, Paul.
Il quale casualmente lavorava quella sera in una galleria d’arte proprio a Saint Germain e ci aspettava al bar accanto per proseguire la serata in maniera “alternativa”.
Paul è un ragazzo speciale, con il suo impeccabile e elegantissimo gusto parigino-finto-trasandato che emana da ogni poro della sua pelle, non ti fa mai sentire a disagio, anzi, riesce ad accoglierti con infinita dolcezza ed attenzione. Nonostante la tarda ora ci ha invitate a bere un po’ di vino nella galleria dove lavora di cui aveva le chiavi, visto che il proprietario è un vecchio suo amico che data l’età, soffre di alzahimer e ha dato così in gestione a Paul il suo prezioso angolo d’arte. Ci ritroviamo così sedute sul parquet di questa galleria, sovrastate da bellissimi quadri raffiguranti fiori coloratissimi a sorseggiare del freschissimo vino bianco che il nostro oramai ritrovato amico sfilava non si sa da quale microfrigo nascosto che sembrava averne a non finire.
Le faccie dei passanti erano meravigliate e incuriosite, qualcuno lo abbiamo anche fatto entrare, e da fuori uno di loro ha detto che sembravamo il famoso quadro di Manet “Déjeuner sur l'herbe"..
Bicchiere dopo bicchiere, il francese non era più un problema e abbiamo intrattenuto lunghissime conversazioni che adesso non sarei più in grado di rifare su per esempio quanto erano effimeri quei fiori intorno a noi, arrivando così, aiutati anche dallo spostamento all’ora legale, a fare l’alba e quasi colazione insieme.
Domenica è volata via in fretta, la sola metà della giornata a dormire e recuperar sonno, e la seconda metà invece a correre dietro il sole cercando disperatamente un bar all’aperto nei  "Giardines des Tuileries" che di domenica sono quasi impraticabili. 
Davanti a noi sembrava esserci tutta Parigi, ogni suo abitante stava li steso sull'erba a godersi i raggi del sole, mi è sembrato un ottimo modo di salutarli tutti insieme. Famiglie, ragazzi, donne in costume, ragazze "perfette", uomini con grandi occhiali, bambini che correvano sui loro monopattini, coppiette in amore, marocchini, asiatici, giocolieri e folli: erano tutti uguali su quel prato, semplici esseri umani che godevano di quelle ore di sole domenicale.
Il tempo a disposizione era pochissimo e dai giardini al taxi per l’aereoporto è volato velocissimo.
Questa scrivania dove stasera mi siedo diventa una silenziosa ascoltatrice così anche di questa ennesima storia, se potesse parlare ne racconterebbe tante. Mi piace immaginare che il tempo scorra, che io sto crescendo, che la vita continua a riempirmi di esperienze.
I viaggi, sono una tipo di esperienza, che da sola, fa sì che vale la pena di vivere un intera vita su questa terra.
Giardines des Tuileries

giovedì 22 marzo 2012

Paris, jour #2: L'escalade grande.

Secondo giorno a Parigi.
Recupero un po' di energie dopo la seconda giornata di esplorazione della città.
Affacciata al balcone di rue de Francois Marion ascolto il campanile della chiesa di fronte scandire le otto di sera. Adoro il suono delle campane che rimbomba per tutto il quartiere Mareis, è come se mi riportasse in questa dimensione. Le campane suonano allegramente ed è come se mi esortassero ad uscire a rimmergermi nel fiume di questa città che scorre inesorabile senza sosta. Per adesso non posso ascoltarle e lascio che ad ogni suono le immagini di un altra giornata scorrano nella mia mente.
Oggi è stato il giorno della grande scalata.
Per conoscere bene Parigi è necessario conoscere i grandi uomini e le grandi donne che hanno animato la sua storia artistica e letteraria. Parigi è senza dubbio stata la casa di innumerevoli artisti che hanno lasciato grandi contributi all'intera umanità, e i parigini di certo non lo nascondono. Sono abili nel celebrare e ricordare ciò che è stato e a tenerlo vivo e ancora accessibile.
Eccoci allora con l’intento di scoprire la  dimensione più “intellettuale” e celebrativa dello spirito francese patriottico della città e quale meta migliore del Pantheon , luogo in cui sono riposte tutte le reliquie dei più “grandi” che segnarono la storia del paese?
Se ieri è stata la giornata dedicata ad ascoltare il presente e lo scorrere delle anime che oggi vivono e popolano la Ville, oggi è stato il giorno dedicato a fare un salto nel passato.
La strada che porta al Pantheon è ripida e in salita, questo perché è costruito in cima al colle Sainte-Geneivieve e quindi non è facile arrivarci seduti su un “trono”:  ma arrivare sul tempio degli dei non può essere altrimenti e quello che si conquista ricompensa ampiamente gli sforzi fatti.  E poi niente nella vita, che valga abbastanza, può essere raggiunto senza sforzo e sacrificio.
Dopo aver acceso una candela davanti la statua di Santa Giovanna d'Arco che se ne stava fiera guardando il cielo  dentro la cattedrale di Notredame ed aver così ricevuto la sua benedizione ci siamo dirette verso il quartiere latino (chiamato così per he in epoche più antiche si usava parlare soltanto in latino e oggi ci sono strade piene di librerie, università e vecchi professori con l'aria un po' sognante).
Insieme a mia sorella sembravamo un frammento di un quadro surrealista vagante. Ci siamo fatte trasportare dall'atmosfera parigina, assumendo di conseguenza un abbigliamento adeguato: io seduta sulla sedia a rotelle con tanto di trombetta per avvisare gli ignari passanti del nostro arrivo, indossavo un cappello blu, una sciarpa rossa e un vestitino a fiori decisamente vintage; così anche mia sorella,  che abilmente mi spingeva facendo un incredibile slalom in mezzo ai marciapiedi evitando di travolgere chiunque si mettesse sulla nostra via, indossava un vestitino di seta perfettamente abbinata alla sottoscritta. Se mi fossi vista da fuori non avrei resistito a sorridere ed attaccare bottone con questa esilarante e curiosa accoppiata di folgorate.
Adoro la libertà che ti concede una città che non è la tua.
Arrivate davanti alla salita che ci separava dalla nostra ambita meta, abbiamo avuto un attimo di sconforto ma tanto era l’entusiasmo che abbiamo iniziato la scalata. Arrancavamo sullo strettisimo marciapiede tra i lavori in corso e le macchine al semaforo e oltre a ridere in continuazione e suonare la trombetta per farci  strada, e girare le ruote per avanzare,  dentro di me pensavo: “ma perché non abbiamo preso un taxi?”. Ma non riuscivo a dirlo, tanto era il mio divertimento e quanto la mia convinzione di dover continuare a scalare: prendere un taxi sarebbe stato un atto di viltà!
La vista del Pantheon,  ci ha fatto dimenticare in un attimo ogni nostro sforzo.
Si è aperta davanti a noi un enorme piazza, piena di giovani studenti universitari al sole e lì davanti a noi quest’enorme struttura con una cupola ed un incisione  caratteri cubitali che diceva “ Aux grands hommes la patrie reconnaissante” (Ai grandi uomini la patria è riconoscente).
Percorrendo quel piccolo tragitto in salita animate da uno spirito “alto” di volontà di toccare con mano un cielo di divinità, mi sono sentita far parte della formulazione di quella frase. Victor Hugo, Satre e il suo acerrimo nemico Voltaire, Jean-Jacques Rousseau e tanti altri grandi uomini e donne della storia francese stavano li di fronte a noi e ci sorridevano  e sembravano augurarci di non fermarci mai,  di compiere altre scalate, conquiste e scoperte nella nostra vita e soprattutto di inseguire sempre la realizzazione della virtù, che può muovere e domare ogni cosa.
Le campane hanno ricominciato a suonare, sono quasi le nove di sera e devo prepararmi: stasera cous cous per cena e serata “alternativa” (come direbbe mio cugino) in un localino con musica elettronica.  Beh non si può stare soltanto in mezzo alle divinità, la notte bisogna scendere dentro la terra e sentire le basse vibrazioni di Parigi che anche lì ha tanto da raccontare…
Bonne soirée!
Aux grands hommes la patrie reconnaissante



Paris, jour #1: Les détails

Il primo giorno in cui si arriva in una città che già si conosce è un po’ come rincontrare lo sguardo di una persona che non vedevi da molto tempo e con la quale hai condiviso qualcosa di speciale. In quello sguardo intensissimo ma anche breve riscorrono immagini di momenti vissuti. Man mano che si trascorre tempo con quella persona ecco riaffiorare alla memoria ricordi rievocati da semplici gesti che si erano dimenticati. Ecco allora che ricordi dal modo in cui si accende la sigaretta quella volta che accendendosi la sigaretta dopo una cena insieme ti ha confidato un segreto e avete riso insieme. Sono questi piccoli gesti che ti permettono di risenti vicino dopo un lungo periodo di distanza con qualcuno: il modo in cui si pettina i capelli, allaccia l’orologio, oppure indossa una maglietta. Ognuno di noi ha il suo modo unico e indistinguibile.
E così è lo stesso per una città.
Adoro i piccoli dettagli e sono quelli che molto spesso mi fanno innamorare di qualcuno. Quel piccolo minuscolo dettaglio ti si impianta nel cervello e può rimanere li per sempre. Sono dettagli, non sono cose grandi di una persona a renderla speciale.
La stessa cosa accade per una città.
Oggi Parigi era illuminata da un sole caldo e primaverile. Il cielo era blu e un leggero venticello faceva ondeggiare le foglie dei primi alberi in fiore.
La cosa più bella quando si deve riprendere confidenza con una città che non si frequenta da tanto tempo è camminare, camminare e camminare fino a stremarsi fino a riempirsi ognuno dei cinque sensi con abbastanza informazioni da ritenersi soddisfatti e affrontare così il giorno seguente con maggior confidenza. E così è stato, almeno quasi, in realtà con l’occasione ho portato una sedia a rotelle perché altrimenti sarebbe stato impossibile saltellare con le stampelle tutto il giorno. Eccomi così alla conquista della città su un trono, spinta dalla mia sorella-ancella che si occupava di direzionarmi  abilmente su e giù per ogni marciapiede. La città vista così ha assunto un'altra consistenza. Se non devi camminare ma ti “muovi” ugualmente, i tuoi sensi sono più acuti, visto che stando seduto sprechi meno energie. Dopo un pranzo in un ristorante turco a base di gustosissimi fellafel, immersi in ogni tipo di salsa rigorosamente a base d’aglio, ci siamo dirette puzzolenti e rinvigorite alla ri-scoperta di Parigi.
E così come quando si rivede un vecchio amico, ci siamo fatte invadere da ricordi e dettagli significativi.
 Oggi per me è stato sostanzialmente un giorno di profonda osservazione delle popolazione parigina. Le persone che vivono in una città sono l’anima di essa e un dettaglio che non può sfuggire. Ho la testa piena di dettagli, di minuscoli ritagli che fusi insieme fondono un enorme puzzle: la pettinatura di quel ragazzo africano, le gonne di tulle delle ragazze giapponesi, gli occhiali di quei ragazzi seduti al bar, le scarpe con i tacchi di quella signora un po’ troppo alte per il giorno, i baffi di quel cameriere in un bar arricciati come quelli di un vecchio quadro di fine ottocento, le calze gialle di quella ragazza, il cappello di quel mendicante su Pount Neuf, le cartoline ingiallite di una città che non esiste più, le mani di quella bambina avvinghiate al collo del papà, i ragazzi sul monopattino vicino a les Halles, il colore di quel vestito nella vetrina di un negozio vintage, i riflessi di luce sulla Senna alle cinque di pomeriggio, lo sguardo curioso di un tassista e la sua risata, lo sguardo di quella negoziante in un negozio di cappelli.
Dettaglio su dettaglio ecco ricomporsi il disegno di una città che oggi sento già più familiare e che non vedo l’ora di ri-scoprire domani.
Bonne Nuit.



Le calze gialle di quella ragazza a rue de Montorgueil.



martedì 20 marzo 2012

Arrivé

Un aereo può portarti ovunque e sono tanti i motivi per i quali si viaggia.
Nella vita spesso accade di dover fare tantissimi chilometri per sentirsi a casa.
Oggi, stanotte la mia casa è qui in mezzo ai tetti di una Parigi che aspetta di essere celebrata.


Diario di una Linfomane a Parigi: Incipit.

Stamattina alle nove andrò in ospedale per fare una TAC di controllo e poche ore dopo prenderò il volo per Parigi!
Scannerizzata e pronta così per il decollo. Non è che la cosa mi rallegri molto ma ciò che si deve fare si fa.
E' tantissimo che non viaggio, tra una cosa ed un altra.
Per anni ho per scontato prendere un aereo, muovermi da una parte all'altra.
Ho deciso che aprirò una piccola finestra sul blog in cui narrerò le mie peripezie nella città eterna degli innamorati, dei poeti maledetti, delle boulevard e delle boulangeries, dei grandi musei, dei pizzi e contropizzi, e delle feste a lume di candela. Ecco come me la immagino prima di partire, già mi sembra di ascoltare una musica di violino e  mi vedo passeggiare tra i quadri dei pittori di strada portando sotto braccio una baguettes calda.
Aurevoir Roma.
Paris j'arrive!




lunedì 19 marzo 2012

In partenza

Tutto cambia, tutto si trasforma sempre, ma ci sono momenti cruciali in cui sembra accadere tutto insieme, forse perchè non ce ne accorgiamo finchè non arriva quel momento che come una goccia fa trabboccare il fatidico e famossisimo vaso: ci ritroviamo allagati da tutta quell'acqua che improvissamente ci sveglia e ci riporta alla realtà.
Domani è quel giorno per me.
Mi preparo ad accogliere il cambiamento che arriverà, mi piace anche che non siamo poi mai pronti fino in fondo e qusto mi fa adorare così tanto i cambiamenti: quella sensazione di ignoto e inesplorato. Mi piace assistere ai quei momenti magici in cui sai benissimo che niente sarà mai come prima. Ci sono persone che sono terrorizzate, che fanno di tutto per non cambiare per rimanere attaccate alla loro scoglio in cui si sentono salvi e al sicuro, sentendosi in mezzo ad un mare in tempesta.
Non c'è scampo dal mare in tempesta, questo è poco ma sicuro, ma per come la vedo io, vale la pena tuffarsi e iniziare a nuotare.  Chissà che non si trovi uno scoglio molto più grande, e poi uno ancora più grande, e poi un piccolo gruppetto di scogli, ed infine un isola fantastica ed inesplorata.
Spesso ci sono infinite bracciate che ci separano da uno scoglio ad un altro, e dobbiamo arrivare allo stremo delle nostre forze, finchè tutto sembra oramai perduto. Ed è proprio quella sensazione di "tutto oramai sembrava perduto" (fase famosa in film in romanzi , che viene preannunciata prima della grande svolta), che fa apparire all'orizzonte un altro scoglio.
Stremi ed esausti, finalmente ci possiamo riposare, recuperare le forze, ma dentro di noi sappimo che non potremmo rimanere all'infinito su quello scoglio, rischio che si corre: diventare lo scoglio stesso.
Esistono casi eccezionali, rarissimi: a volte lo scoglio è già abitato. Ma non bisogna farsi intimorire, l'abitante dello scoglio può diventare un ottimo compagno o compagna di scoglio e ci sono alcuni che decidono di rimanere sullo scoglio insieme, uniti, e si avvinghiano con tutte le loro forze a quella pietra nel mezzo dell'oceano e diventano un enorme pietra unica, immobile, salda. E' commovente quando si incontrano questi grandi scogli, io non posso mai trattenermi dal commuovermi dentro di me osservando quella forza misteriosa che unisce i due viaggiatori.
Ma questo accade raramente, e poi sempre scogli si rimane in un certo senso. C'è sempre qualcosa che mi sfugge, e non sento che quelle unioni siano poi costituite su un vero intento comune, in quei casi si tratta di sopravvienza, di scegliere di fermarsi insieme sullo stesso scoglio e fondersi e diventare quello scoglio insieme. Una scelta troppo dettata dalle circostanze e dal caso(benchè io non creda nel caso, ma credo  nella scelta personale sopra ogni cosa).
Io credo che esista da qualche parte in mezzo al mare, un enorme isola, verde, ricca, piena di fiumi, lagune, animali, ed esseri umani. Sono esseri umani speciali, che hanno nuotato tantissimo nella loro vita, che mai si sono fermati al primo scoglio, neanche al secondo che hanno incontrato, e neanche al terzo dove potevano fondersi con un altra persona e diventare uno scoglio.
Credo nell'amore, credo nello scambio, ma questo può avvenire se si prende in rischio di nuotare un po' più a largo lontani dalle proprie certezze.
Sono convinta che esista una vetta inesplorata, un tempio  eretto sulla saggezza su un terreno dove poter finalmente alloggiare ed osservare dall'alto il mare in tempesta e i naufraghi che tanto nuotano in cerca della via che conduce al segreto della vita. Ma questo luogo è così lontano ancora da me.
Sognando un giorno di poter conquistare quel luogo di serenità eretto dai sapienti, eccomi così sul bordo dello scoglio sul quale sono stata per questo ultimo periodo.
Guardo davanti: il mare è in tempesta, il cielo è scuro e c'è tanto vento che quasi mi sposta.
Ma è giunta l'ora di fare questo salto. Sono stata troppo qui ferma, sento che dentro di me si è completato qualcosa e la chiamata ad andare avanti, a riprendere la chiamata è troppo forte, irresistibile. So anche che l'unico sollievo del mare in tempesta è che l'acqua poi non è così tanto fredda e si può continutare a nuotare.
Chiudo gli occhi, respiro profondamente, sento sotto i miei piedi quella roccia ferma e solida per l'ultima volta, e mi dico che sono poche le bracciate che mi separano dalla prossima.
Mi tuffo.
Domani lascio la casa in cui sono stata questi passati mesi e parto per Parigi per qualche giorno (5 giorni esattamente) con l'occasione di trovare una persona per me importante che se dovessi immaginarla in mezzo a questo mare in tempesta la immagino che nuota e non tanto distante da me.
In questa giornata di passaggio, raccolgo con me le poche cose che mi seviranno per il viaggio e scruto l'orizzonte immaginando che cos'altro mi regalerà.
Questa casa è stata così importante  è stata per questo periodo il mio scoglio, la  certezza che mi ha aiutato a riposarmi e rigenerarmi tra un ricovero ed un altro.
Lascio in  questo luogo una parte della mia anima, e del mio cuore.
Ma sono convinta che ogni volta che si lascia andare qualcosa ne arrivi sempre un altra ancora più grande importante.
L'importante è non smettere mai di nuotare.

da qualche parte laggù esiste una vetta, un luogo di serenità immutabile.



domenica 18 marzo 2012

Un lampone per ogni pensiero felice


Credo nelle pause che si susseguono fra una nota ed un’altra tra le righe di uno spartito, sono poi quelle che danno intensità e valore alla nota che verrà emessa successivamente. Così come il silenzio. Ho lasciato che il silenzio riempisse un po' di spazio e così ho preferito assentarmi dal riempire gli spazi vuoti con parole e pensieri e lasciare qualche riga di silenzio necessaria  per accogliere ciò che sarebbe arrivato.
E' difficile trovare quell'equilibrio tra le parole e le pause, troppo spesso cerchiamo di riempire silenzi oppure si sceglie di rimanere in silenzio per paura di dire troppo.
Imparare ad avere il giusto tempismo è quasi tutto nella vita.
Allo stesso modo è importante la qualità dei pensieri che si riesce ad avere durante una giornata.
Oggi mi sono svegliata, con una sensazione che mi trascino da qualche settimana, e che prima che mi abbandoni devono spesso passare diverse ore. La sensazione è quella di necessità di lasciar decantare i miei pensieri, accoglierli in uno spazio silenzioso, aspettare la giusta temperatura che permetta loro di evaporare, ma questo non sempre accade: forse perchè mi sveglio troppo presto e velocemente oppure semplicemente perchè la temperatura non è quella giusta.
Scegliere di recarsi in un parco di sabato mattina è una delle scelte più gettonate a Roma, una delle città più verdi d'Europa. Io non sono per le scelte troppo "accessibili", ma oggi è andata così.
Mi sono infilata nella mia piccola macchina da città (finalmente sono tornata a guidare, quando mi mancava e mi chiedo perchè ci ho messo così tanto, ma la risposta ricade nelle risposte che hanno a che fare con l'aspettare il giusto tempo per le cose), ed eccomi così nuovamente al volante.  La fortuna ha voluto che la gamba che non posso muovere fosse la sinistra e per guidare una macchina con il cambio automatico si può benissimo farne a meno.

I pensieri del mattino stavano ancora lì, non riuscivo proprio a trasformarli a  renderli più leggeri ed apprezzare  una meravigliosa giornata di sole.  Ho subito acceso la radio sul canale 100.3, musica classica. Ho riscoperto la musica classica, credo che sia l'unico tipo di musica che può magicamente rimettere in ordine i pensieri: è come se i pensieri passino attraverso un enorme tubo e ne escano fuori più puliti, colorati, ordinati e depurati.
Accompagnata dalle note di Bach, e dall'entusiamo per la guida ritrovata, sono passata subito a prendere un mio amico con il quale avrei poi raggiunto altre amiche a Villa pamphili, una delle ville più spettacolari della città durante la settimana, ma anche una delle più popolate durante il weekend.
Appena arrivati abbiamo cercato  disperatamente di posizionare il mio enorme telo bianco, nonchè copridivano, colti dalla stessa difficoltà che si ha quando si arriva in una spiaggia troppo affollata. In tutto ciò delle altre amiche neanche l'ombra, sembrava che la folla le avesse inghiottite e disperse. Inutile dire che gli interrogativi più  più frequenti che mi passavano per la mente erano in quel momento rivolti a comprendere il perchè mi trovassi in quel posto, con un telo e il cestino dal picnic, e nello stesso tempo  a comprendere cosa avessero in comune con i gruppi di genitori e bambini gli adolescenti persi nei fumi di marijuana che devo dire  però insieme misteriosamente formavano un allegro connubbio: urla da una parte dei bambini che volevano far sentire i loro bisogno primari alle madri e dall'altra adolescenti che urlavano il loro bisogno di farsi sentire parte di un gruppo (il che a quest'età include esprimersi senza conoscere la differenza tra una bestemmia ed un esclamazione). Mi sono sentita tutta ad un tratto una vecchia rompiscatole che avrebbe tanto voluto scoppiare quei palloni che si divertivano a lanciarsi con entusiamo e  che ogni dieci minuti sfioravano la mia testa, e spengere sulle loro di teste quelle dannate sigarette che fumavano tanto per darsi un tono.
Sì:  una vecchietta scorbutica, isterica e insofferente. Mi sono ad un tratto guardata da fuori, e ho iniziato a chiedermi cos'è che non andava in me. Dopotutto, godersi una giornata di sole, sopra un prato fiorito che annuncia il definitivo inizio di primavera, non dovrebbe poi essere così difficile. In quel momento invece sembrava essere veramente una missione impossibile. 
In preda ad un raptus di insofferenza, che nel frattempo avevo contaggiato anche al mio sventurato accompagnatore, avevo deciso in quell'istante di spostare tutto il nostro accampamento molto più in là, lontano da tutto quel vociferare e di avventurarci alla ricerca di altre amiche che dovevano aspettarci da qualche parte lì, in mezzo a quella folla eterogenea ma che emetteva un unico rumore indistinto.
Spesso non basta fare silenzio dentro di sè, è necessario prorio che quel silenzio parte da fuori ed io oggi ero convita che avrei trovato quello spazio, ma era necessario muovermi e farlo subito.
Trascinandomi dietro il telo, il pranzo, le stampelle e tutto il resto ho iniziato a cercare, e cercare finchè ho notato in lontananza una zona misteriosamente vuota circondata da una bellissima famiglia di piccoli abeti. Ho iniziato a camminare in quella direzione e più mi avvicinavo e più sentivo sfumarsi alle mie spalle lo scenario precedente e aprirsi una nuova dimensione. Man mano che mi avvicinavo sentivo alle mie spalle descrescere il rumore delle voci , ma iniziavo a sentire un quasi impercettibile suono che proveniva prorio da quella parte. Avvicinandomi sempre di più il suono diventava più nitido, ed ecco che finalmente lo avevo riconosciuto: proveniva da alcune persone che stavano recitanto un "Om" . Eccomi quasi arrivata, e con stupore mi sono resa conto di conoscere da dove proveniva quel suono: erano le mie amiche che stavano sedute, in meditazione sotto gli abeti e stavano concludendo la loro lezione di yoga.
Ci siamo così silenziosamente  sistemati alle loro spalle con il nostro telo bianco, che adesso mi sembrava trasformatosi in un enorme bianco lenzuolo di lino preziosissimo, in silenzio ad aspettare che finissero con la loro pratica. "Sorpresa!", ho esclamato ad una di loro mentre in realtà quella ad essere sopresa ero stata io. 
Ci sono giornate in cui ritrovare la propria pace può essere faticoso, e spesso è necessario però non accontentarsi delle circostanze, ed avventurarsi oltre. 
Io credo profondamente che in ogni situazione sia possibile trovare quello spazio silenzioso, e se devo immaginarlo lo immagino così: un prato di margherite circondato da abeti verdi.
E chissà che in quello spazio non ci siano ad aspettarci i pensieri più belli e sereni, che magicamente prendono forma e significato nei volti delle persone a cui vogliamo bene.
"Che bello averti qui! Ti aspettavamo!", ha esclamato una di loro, mentre stava aprendo un tovagliolo di stoffa con dentro un piccolo tortino di crema con degli enormi lamponi sopra.
Offrendomi di assaggiare quella prelibatezza, l'altra amica mi ha detto "Immagina che ogni lampone sia un pensiero felice".
Ho chiuso così gli occhi, e mentre assaporavo un lampone alla volta dentro di me sentivo finalmente nascere un enorme gioia per la pace finalmente ritrovata









prato di margherite.


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