lunedì 26 marzo 2012

...# 3, 4 e 5: L'analyse anthropologique.

Improvvisamente il tempo ha iniziato a scorrere velocissimo e sono stata risucchiata in un turbinio di eventi che si sono successi uno dopo l’altro senza in realtà poi aver un nesso tra di loro, ma questo solo apparentemente.

E’ stato come  viaggiare tra una dimensione ed un'altra. In questo turbinio fermarsi a scrivere è stato veramente impossibile.
Sono tornata nella mia città, nella casa che non vedevo da quasi un anno a causa del problema dell’ascensore mancante, che abbiamo dovuto far montare apposta  e che mi ha però permesso di girovagare senza una fissa dimora per mesi e mesi concedendomi così di fare un viaggio nel viaggio.
Sono seduta alla scrivania che mi ha accompagnato per tutti questi anni, qui ho studiato, ho scritto, ho letto libri, ma anche mi ricordo momenti in cui rimanevo a fissare il muro davanti a me e andarmene con i pensieri in giro per la mia mente. Queste sono le mura che mi hanno vista crescere, questo è il posto che in genere si chiama “casa”. Già sono tornata a casa. Questa volta sento che è proprio così.
Osservo come tutto sia rimasto uguale, perfettamente lì, dove lo avevo lasciato il 17 giugno quando mi hanno portato all’ospedale e li è iniziato tutto. Quel giorno faceva caldo, quasi come oggi, e tenevamo le finestre di tutta casa aperta. Mi ricordo quella sensazione che si ha quando qualcosa sta per accadere, quel qualcosa che sai che cambierà tutta la tua vita per sempre. Come sono adesso? Sono molto diversa, sono completamente diversa da come ero quel 17 giugno, ma sento che sono in piena trasformazione, e mi sento che devo ancora arrivare alla fine del processo.
Guardo fuori dalla finestra, la “casa rossa” (così chiamata da mia sorella ed io da quando eravamo piccole..e anche li ne avrei da raccontare) e lascio che le immagini di Parigi mi scorrano davanti.
Sono state 72 ore incredibili, e grazie all’abile guida di mio cugino, abilissimo cicerone e una delle persone più world-connected che io conosca, ho avuto insieme a mia sorella l’occasione di conoscere Parigi in tantissime delle sue vesti.
Parigi si trasforma, si maschera, sa essere una donna elegantissima che si agira per le vie del Le Marais, ma anche una prostituta in un sexy-shop di Pigalle. Questo è ciò che adoro della Ville: il suo trasformismo.
Venerdì sera è iniziato con un aperitivo in una delle piazze più incredibili di Parigi: place du Dauphine, sull’Ille de la Citè. E’ l’isola sulla quale c’è anche la cattedale di Notredame, un po’ come la nostra isola Tiberina in grande, peccato poi che però i parigini ne hanno anche un'altra piccolina dietro (Ille Saint Louis)  che sembra un po’ un rimorchio di quella più grande: infatti le due isole sono collegate da un ponte (uno dei posti più belli di Parigi, forse il mio preferito) che sembra un cordone che le tiene unite.
Aspettiamo sedute ad baretto di alcune ragazze spagnole, il cugino che ritarda un po’, ma si fa perdonare, rovesciando sul tavolo un intera busta contenente…reggiseni! Ho capito che dal quel momento in poi sarebbe iniziata una spirale infinita che ci avrebbe lasciato andare, sfinite e frullate, soltanto una volta messo piede a Fiumicino.
Erano dei reggiseni enormi, avanzi di fabbrica (lui lavora nella moda come del resto l’80% delle persone che si trasferiscono li a vivere) e avevano scaricato una scatola in più così ecco i reggiseni per le cuginette.
Dall’aperitivo in reggiseno in poi il venerdì è continuato senza tregua: prima un ristorantino molto carino vicino place des Voges (bellissima), dove ci siamo rallegrati con del buonissimo vino rosso che ha facilitato la comunicazione con chiunque si avvicinasse al tavolo, soprattutto con i camerieri che oramai ci avevano preso in simpatia; e dopo cena la serata, che ricordo confusa e divertente, si è svolta tra un locale (uno dei più inn di Parigi) che si chiama il “Silencio”, costrutito dal visionario pazzo di David Lynch, sotto terra e dove tutto c’è che tranne che silenzio (forse un po’ nei meravigliosi bagni super lussuosi); per poi concludersi in un posto assurdo che si chiama “teatro rouge”, nella zona di Pigalle tra un sexy shop ed un altro dove si ballava a ritmo di musica elettronica..
Mi scorrono immagini veloci nella mia testa, fino ad arrivare al sabato: giornata di relax e lentezza vera in cui era d’obbligo riprendersi dopo le follie della notte precedente, almeno fino al calar del sole.
Siamo stati così a casa, avvolti da una bellissima atmosfera familiare e riscaldati dal sole improvviso e caldissimo che illuminava tutti i tetti di parigi. Fuori dal terrazzo di casa, arrivavano voci dal mercato, dei bambini che giocavano.. un vero idillio, interrotto soltanto ogni tanto dai rintocchi del capanile che rigoroso e puntale ci ricordava il passare del tempo. In alto sui tetti, il sabato scorreva lento e pacifico.. ma una volta scesi di casa per trovare qualcosa da mangiare siamo stati catapultati in una dimensione che di sereno e pacifico aveva ben poco. Gente, gente e gente, che invadeva le strade, i negozi, i marciapiedi. Tutto era gremito, invaso e invadente: i parigini impazziscono per una giornata di sole, visto che il clima dalle loro parti non è molto indulgente. Sembrava che da qualche parte regalassero oro, e la gente sembrava alla disperata ricerca di quel posto.
Questa volta lo slalom era più difficile, ma solo per pochi metri fino ad arrivare a prendere una succulenta crepè in un posto interamente dipinto in ogni suo angolo di rosa, dove dietro un bancone pieno di merletti e fiocchettini, due ragazze asiatiche di una bellezza eterea anche loro infiocchettate e piene di pizzi rosa, con eleganza ed estrema lentezza religiosa farcivano le crepes di ogni tipo incredibile di ripieno. Quella è stata la crepe più dolce e delicata che abbia mai mangiato in vita mia.
Dopo aver trovato un po’ di sollievo nella nuvola rosa, ci siamo subito ridiretti a casa, a cercare scampo dalla folla impazzita.
Trovarsi nel mezzo di un gruppo di esseri umani genere maschio tifosi della roma, e nello stesso tempo a Parigi può generare qualche minuto di inquietante smarrimento spazio-temporale. Sabato è stato anche il giorno della partita Roma-Milan, e siccome mio cugino è uno dei pochissimi che ha la parabola istallata ecco che vedere la partita a casa sua è diventato un rito che oramai è di regola da mesi.
Ho sempre avuto un profonda invidia per il cameratismo maschile e quell’indissolubile legame che sembra crearsi in occasioni del genere. Forse è per questo che al liceo mi trovavo molto spesso a stare di più con i maschi che con le femmine. Ho sempre ammirato il loro ragionamento lineare e razionale più di quello femminile. Tra noi donne è molto diverso, i gruppi di amiche stile “Sex and the City”, non esistono. Almeno esistono per un po’ di tempo ma poi rischiano di disintegrarsi tra una sindrome premestruale ed un'altra. Secondo me dovremmo iniziare anche noi a seguire qualche genere di sport, riunirci con il solo intento di sederci di fronte ad un enorme schermo e sentirci parte di una squadra, e sfogare così le nostre pulsioni più primitive, senza chiacchere superflue.
La partita è stata accompagnata però da urla abominevoli, del tipo “ ma l’ha toccata con un braccio, l’ha visto pure mia nonna!” oppure “Stava entrando a piotte quello.. dalla tutta!!” e io stavo li a godermi, ridendo sotto i baffi che avrei voluto avere questi divertentissimi sfoghi di testosterone, sorseggiando un bicchiere di vino e guardando fuori dalla finestra una Parigi che in quel momento era diventata una silenziosa complice.
Dopo le ennesime urla ma anche sonore imprecazioni (la partita è finita 2-1 per il Milan), la serata ha ripreso immediatamente un impennata di stile, mio cugino doveva raggiungere per cena alcuni amici e colleghi in uno dei ristoranti più extra lusso di Saint-Germain, dove per entrare bisogna avere una macchina con autista, qualche diamante incastonato da qualche parte e per le donne una sola e banalissima clausola: essere assolutamente perfette. Vi lascio immaginare la faccia mia e di mia sorella di fronte a tanta bellezza e perfezione femminile: non c’è nulla da fare è vero il mito delle parigine. Ho capito la sensazione che ha una casalinga, madre di 7 figli, con 20 chili di più visto lo stress, le gravidanze e il cibo ossessivamente ingurgitato di conseguenza, che si ritrova a sfogliare le pagine di “Vanity Fair” e sentire ancora di più il peso della sua vita lontanissima dalla quella apparente perfezione che ti viene sbattuta in faccia tra una pagina patinata ed un'altra.
Ci siamo così rifugiate in bagno cercando un po’ di sollievo e per truccarci un pochino e mentre ci specchiavamo, non per niente contente di quello che vedevamo quella sera, ecco entrare ogni 3 minuti e andare in bagno una sfilza di bionde magrissime e altissime, perfettisime, ed io e mia sorella sbigottite volevamo soltanto affogarci nel lavandino.
Siamo così scappate da una serata che si preannunciava essere drammaticamente devastante per la nostra autostima, con un “non vogliamo fare tardi stasera..” e una telefonata ad un amico improvvisamente ricordato che abita a Parigi, Paul.
Il quale casualmente lavorava quella sera in una galleria d’arte proprio a Saint Germain e ci aspettava al bar accanto per proseguire la serata in maniera “alternativa”.
Paul è un ragazzo speciale, con il suo impeccabile e elegantissimo gusto parigino-finto-trasandato che emana da ogni poro della sua pelle, non ti fa mai sentire a disagio, anzi, riesce ad accoglierti con infinita dolcezza ed attenzione. Nonostante la tarda ora ci ha invitate a bere un po’ di vino nella galleria dove lavora di cui aveva le chiavi, visto che il proprietario è un vecchio suo amico che data l’età, soffre di alzahimer e ha dato così in gestione a Paul il suo prezioso angolo d’arte. Ci ritroviamo così sedute sul parquet di questa galleria, sovrastate da bellissimi quadri raffiguranti fiori coloratissimi a sorseggiare del freschissimo vino bianco che il nostro oramai ritrovato amico sfilava non si sa da quale microfrigo nascosto che sembrava averne a non finire.
Le faccie dei passanti erano meravigliate e incuriosite, qualcuno lo abbiamo anche fatto entrare, e da fuori uno di loro ha detto che sembravamo il famoso quadro di Manet “Déjeuner sur l'herbe"..
Bicchiere dopo bicchiere, il francese non era più un problema e abbiamo intrattenuto lunghissime conversazioni che adesso non sarei più in grado di rifare su per esempio quanto erano effimeri quei fiori intorno a noi, arrivando così, aiutati anche dallo spostamento all’ora legale, a fare l’alba e quasi colazione insieme.
Domenica è volata via in fretta, la sola metà della giornata a dormire e recuperar sonno, e la seconda metà invece a correre dietro il sole cercando disperatamente un bar all’aperto nei  "Giardines des Tuileries" che di domenica sono quasi impraticabili. 
Davanti a noi sembrava esserci tutta Parigi, ogni suo abitante stava li steso sull'erba a godersi i raggi del sole, mi è sembrato un ottimo modo di salutarli tutti insieme. Famiglie, ragazzi, donne in costume, ragazze "perfette", uomini con grandi occhiali, bambini che correvano sui loro monopattini, coppiette in amore, marocchini, asiatici, giocolieri e folli: erano tutti uguali su quel prato, semplici esseri umani che godevano di quelle ore di sole domenicale.
Il tempo a disposizione era pochissimo e dai giardini al taxi per l’aereoporto è volato velocissimo.
Questa scrivania dove stasera mi siedo diventa una silenziosa ascoltatrice così anche di questa ennesima storia, se potesse parlare ne racconterebbe tante. Mi piace immaginare che il tempo scorra, che io sto crescendo, che la vita continua a riempirmi di esperienze.
I viaggi, sono una tipo di esperienza, che da sola, fa sì che vale la pena di vivere un intera vita su questa terra.
Giardines des Tuileries

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