lunedì 27 febbraio 2012

#11
La dove ti trovi
non soccombere alle tue  debolezze
continua a vincere
senza paragonarti agli altri
Prosegui sulla strada
della tua nobile missione.
Vai avanti.
Con fierezza.





      

giovedì 23 febbraio 2012

E' severamente vietato?

La primavera in questi giorni sembra aver donato un anticipo di sé, quasi a voler ribadire che prima o poi arriverà e che l’inverno è soltanto un freddo momentaneo. A Roma, perlomeno, l’inverno è qualcosa di veramente passeggero e fugace. Il freddo vero non persiste per più di un mese, e per tutto il resto dell’anno il clima è perfetto. 
Sto veramente parlando del tempo? Qualcuno mi fermi.
Cerco un modo per evadere da queste quattro mura, ma oggi proprio non ci riesco. E’ come se avessi esaurito la mia fantasia, “puff”, svanita, come una scatola di biscotti mangiata troppo in fretta. 
Ho paura quando accade questo, quando sento che non ho più riserve e neanche una  cartuccia da sparare.
Mi sento sospesa in un limbo, galleggio nel tutto-nulla dell’esistenza, oramai mi sento che sto perdendo la mia identità, mi sto smaterializzando, dissolvendo.
Per fortuna però esistono queste grandi finestre sulla città, che mi aiutano a scrutare, a guardare tutto da lontano e mi sembra che niente passi inosservato al mio sguardo indagatore. 
Ho sempre amato guardare le cose dall’alto. 
Ogni viaggio che faccio, ogni città nuova che vedo, il mio primo desiderio è quello di raggiungere il punto più alto, e non mi do pace finché non scopro dove si trovi. Diventa il mio obiettivo principale: costringo la/lo sventurata/o che è con me in questa missione che deve essere portata a termine entro le 24 ore dall’arrivo. 
Non riesco a spiegare cosa sia quella sensazione che mi spinge nella ricerca, è quasi un senso di claustrofobia mischiato ad una  necessità  di sollevarmi da terra. Una volta raggiunto quel punto, che sia esso un grattacielo, una montagna, un monumento della città, finalmente sento che dentro di me qualcosa trova il suo posto: riuscire a percepire i limiti estremi di una città mi da un senso di pace rassicurante. 
Non sempre è possibile vedere dove finisce una città, mi ricordo quando sono stata a Città del Messico, una delle metropoli più grandi al mondo, e sono salita sul grattacielo più alto era impossibile distinguere l’inizio e la fine di quell’enorme mostro pulsante di più di 22  milioni d'abitanti. L’unica cosa che sembrava fermare la folle espansione urbana, erano le montagne in lontananza: come a testimonianza che l’uomo può anche illudersi di avere un ruolo influente su questo pianeta, ma le montagne per fortuna ancora non è riuscito a spostarle.
Sono rinchiusa da due settimane in questo “oblò sulla città”, che ho imparato ad amare, ho modificato e trasformato con la mia presenza. Mi dico anche che due settimane alla fine non sono nulla,  e che il tempo scorre. Queste 15 giornate hanno scolpito dentro di me un’esperienza significativa e che adesso mi sento addosso, sento che fa parte di me.
Sento che quest’esperienza non sarebbe stata la stessa senza quelle finestre enormi, che mi permettono di osservare la mia città fino ai suoi limiti più remoti: se c’è il sole riesco a vedere le montagne ancora innevate, che per fortuna sono molto diverse da quelle messicane.
C’è solo un piccolo particolare che mi ha infastidito fin dal primo giorno: quella scritta.
Le finestre sono belle perché si possono aprire, ma ti passa la voglia leggendo “è severamente vietato aprire le finestre”. Mi sono sentita violentata la prima volta che l’ho letta, ho sentito che  con le finestre anche la mia immaginazione doveva rimanere severamente chiusa. Io capisco che è un motivo strettamente igienico, ma lo trovo alquanto bizzarro.  
“Nell’aria fuori ci sono microbi pericolosissimi che porterebbero contagiarti visto che le tue difese immunitarie sono drasticamente calate” direbbe qualche medico e potrebbe essere anche vero certo, ma non del tutto, almeno non per la mia fervida immaginazione che si sente costretta e privata di preziosissima aria fresca.
Come faccio con quel “severamente chiuso” ad uscire e fuggire da qui, a sollevarmi sulla città come un gabbiano di città (assurda questa cosa dei gabbiani),  e nutrirmi di ciò che mi spetta?
Semplice: apro la finestra.
Va bene, lo ammetto,  può non sembrare una mossa così incredibile, ma questa piccola non curanza della “legge”, mi fa sentire così piena di vita. Questo è il mio piccolo segreto che voglio allora confessare: ogni sera dopo il tramonto quando sono sola, tengo la finestra aperta per almeno una mezzora, giusto il tempo di permettere all’aria di entrare e alla mia mente di uscire. 
Mi sembra uno scambio equo, e non faccio male a nessuno.
Oggi mi sono seduta sul davanzale sotto la finestra, l’ho aperta  proprio durante il tramonto e mi sono concessa di immergermi di quei colori incredibili  regalati dalla  precoce primavera romana.  Mi sarei volentieri sorseggiata un bicchiere di rosso, ma rido sotto i baffi pensando a quanti me ne berrò tra non meno di 72 ore. “Ce l’ho quasi fatta” ho pensato, e anche se questo non è il mio ultimo ricovero, in fondo non è stato così male isolarmi per questi giorni e guardare le cose dall’alto ma anche: non aver voglia di muovere un dito, rivalutare la mia posizione su molte cose compreso il non vedere mai la televisione, mangiare sconsideratamente solo per noia, ascoltare il suono del silenzio anche per ore, dormire all’inverosimile, scrivere sui muri frasi senza senso, non spostarmi per più di 3 metri dal posto dove ho dormito, leggere libri che non avrei mai letto, guardare film che non avrei mai visto, cimentarmi nel disegno con i pastelli, la mattina rimanere in dormiveglia per un’ora cercando di ricordarmi quel sogno, aver voglia e bisogno di non far parte del mondo.
Sono tutte cose che dimenticherò in fretta, lo so, che saranno riassorbite velocemente dalla vita la fuori, che adesso sento in attesa e desiderosa di essere vissuta ma che allo stesso tempo mi sembra così lontana così come mi sembra lontana da quassù la cupola di San Pietro: una minuscola cunetta di marmo assorbita da una distesa di palazzi.
Ho capito però che potrei fare e rifare questo ancora, rimanere sospesa, isolarmi per un po’,  ma vi prego,  se riaccade, non vietatemi mai più di aprire quelle finestre.


ecco la scritta, e il tramonto.

mercoledì 22 febbraio 2012

Un film da non perdere


Un film da non perdere, al cinema, in Italia  dal 2 Marzo.
Finalmente si parla di cancro, con la giusta serietà e ironia, che sia l'inizio di una nuova consapevolezza?
Sembra proprio di sì. Come al solito l'idea arriva dall'america, è basato sulla storia (vera) di un ragazzo di 27 anni che scopre di avere il cancro, e gli viene preannunciata una percentualità di guargione del 50%.  Non è importante quello che accade, ma come si affronta. Questo è il messaggio che ribadisce il film e io non posso che essere d'accordo.
Lo consiglio a tutti quelli che sono terrorizzati soltanto a parlarne, che ancora vedono questa malattia come il "male oscuro", "incurabile".
"Non sempre i farmaci sono necessari, ma la fede nella guarigione, si" (Norman Cousins).
E' proprio quella fede e quella tenacia che spronano il protagonista del film, interpretato dall'intrigante Joseph Gordon-Levitt, a vincere la sfida.
Non vedo l'ora di sprofondare nella poltrona rossa del mio cinema preferito con un bel pop corn medio da sbriciolare sulle gambe.




domenica 19 febbraio 2012

Tras-fusione

Ho gli occhi spalancati sul sangue che scende nel tubo collegato alla sacchetta di trasfusione che mi hanno appena attaccato e provo un’emozione di disgusto misto a curiosità, sto cercando da diversi minuti di far finta che quel tubo rosso è un tubo fatto di liquirizia rossa (in america famosissima e amata, noi italiani preferiamo la classic black),  che gli assomiglia per consistenza e colore. Che cos'altro altro potrebbe essere?
Il sangue precipita goccia dopo goccia all’interno del filtro che si trova tra la sacca e il tubo che arriva direttamente dentro la mia vena, con un ritmo lento, inesorabile, come quello di un rubinetto chiuso male: se faccio molto silenzio sento quasi il rumore di ogni goccia.
Ho i valori dell’emoglobina bassi, niente di cui preoccuparsi, ma per il protocollo se si scende sotto il valore 8, ti fanno la trasfusione: il mio è 7.7. Ecco perché odio i protocolli, le standardizzazioni, basta uno 0.1 in più o in meno ed ecco che ti appiccicano ad una categoria piuttosto che un'altra, e la mia questa volta è “necessaria trasfusione”. La scorsa volta mi sono rifiutata di farla, il punteggio era di 7.9, e per una ragazza di 26 anni secondo me non era necessario ed allora ho firmato per il rifiuto del trattamento: il medico non si è opposto ma mi ha guardato con un’aria perplessa,  chiedendosi forse se io fossi una Testimone di Geova (i Testimoni di Geova non possono né cibarsi di sangue né riceverlo in trasfusione, l’unico sangue di cui può nutrirsi l’uomo, secondo loro, è quello di Cristo, ma sfido chiunque a trovarne una sacca). La scorsa volta è andato tutto bene, ma questa volta “lasciamo fare a loro”, ho pensato e così non ho opposto nessuna resistenza.
Nella mia idea psico-simbolica-spirituale del sangue, è ciò che siamo ed in esso ci sono tutte le  informazioni, il nostro passato, le nostre emozioni, il nostro karma, la nostra vita. Ci vogliono all’incirca 7 anni prima che si rinnovi del tutto.  Cosa c’è di più intimo, personale del sangue? Non a caso si fanno i patti di sangue, i riti con il sangue, i sacrifici di sangue nelle antiche religioni pagane.
Il sangue è l’essenza di un essere vivente, la linfa. Ecco perché sono così restia a riceverne, forse c’è una piccola Testimone di Geova in me. Fatto sta che  questo sangue sicuramente apparterrà a qualche persona sicuramente molto diversa da me ed adesso si sta mischiando con il mio.
Chissà di chi possa essere mi chiedo, e continuando a scrutare con sospetto il tubo lo nascondo sotto il cuscino facendo finta che quel braccio non è il mio.
Chiudo gli occhi, e cerco di accogliere e basta quello che sta accadendo, alla fine, mi dico, che differenza c’è tra questo e mangiare una bella bistecca al sangue?
Inizio improvvisamente a sentire un profumo nelle narici, si percepisce appena ma è intenso: mi sembra un profumo da donna, uno di quelli che rimangono diverse ore sulla pelle e cambiano finche non rimangono diventando così l’odore di quella persona.
E’ un profumo quindi che non è più semplicemente un profumo e basta, se lo osservo mi sembra possa descrivere anche la persona che lo indossa, e mi sembra possa appartenere ad una donna sulla cinquantina o più. Immagino la sua pelle sottile del collo e dei polsi, impregnata di quell’odore. E’ gradevole, ma uno di quei profumi che non indosserei mai. E’ una donna non troppo alta, con capelli forse grigi un po’ cotonati e sempre in ordine dal parrucchiere, quelle messe in piega standard che si fanno in tutti i saloni di bellezza. Indossa un ombretto color viola, le sue labbra sono sottili, gli occhi sono un marrone intenso e sono irraggiati da piccole rughe. Mi sembra quasi di vedere i lobi delle sue orecchie, e degli orecchini d’oro che li allungano con il loro peso. Si veste abbastanza elegante, il giusto per differenziarsi, ma non troppo perché non ama apparire, anche se però la sua eleganza passa difficilmente inosservata che lei lo voglia o meno. Iniziano ad apparirmi immagini e sensazioni di questa donna, come se adesso per un momento fossi io quella donna e potessi sentire quello che sente lei. Percepisco la sua forza, determinazione: è una donna che lavora molto, realizzata, con i piedi ben piantati a terra. Sento la sua solidità, fermezza, integrità. Scorgo infine il suo sorriso, e il suo buoncuore. La immagino quando è andata a donare il  sangue, magari un giorno durante la settimana in cui ha chiesto il permesso apposta senza dirlo a nessuno, tenendosi questo segreto per se rendendo ancora più prezioso il suo gesto d’amore.
Non posso che sentirmi sollevata, sento che questo sangue, oltre che a far risalire di quel 0.1 i miei valori,  è impregnato di qualcosa che mi può far solo che bene. Sento così fondermi con questa donna sconosciuta, immaginata o reale che sia, e acquisire così anche le sue caratteristiche goccia dopo goccia.  Mi sento diversa, adesso più grande della mia età, con una sicurezza nuova ma la cosa strana è che questa sicurezza non appartiene a me. La sento dentro di me, ma non è la mia. La cosa positiva è che mi sento per terra, con i piedi, e  la mente lucida come non mai prima.
Che sia l’effetto di quel 0.1 in più non lo so, fatto sta che sento che qualcosa è avvenuto.
Ringrazio quella donna per il suo dono, per avermi permesso di nutrirmi della sua linfa, e del suo amore, per aver deciso quel giorno di sentirsi un po’ più debole per qualche ora; per avermi dato una parte di lei, e in questo caso una parte che in questo momento mi fa sentire diversa e più forte.
La prima cosa che farò appena esco da questa storia sarà quella di andare a donare il sangue: chissà se mi capiterà di incontrare quella donna, magari la riconoscerò dal suo profumo.





goccia dopo goccia.

mercoledì 15 febbraio 2012

La lampadina rossa

Osservo dal basso il palloncino che oggi mi hanno regalato a forma di fiore che sorride, gli ricambio il sorriso e mi sento di avere otto anni. E’ una serata leggera, l’atmosfera si è riempita di pensieri luminosi e creativi. Sarà forse stata la visita di tutta la famiglia al completo, del calore che ho sentito intorno, ma anche dell’aria nuova che stasera ho respirato. Ho sentito stasera finalmente un’aria che preannuncia la tregua, che precede la fine di un percorso.
Quel tipo d’aria è esattamente quella che si percepisce quando si sta in viaggio, magari in un posto molto lontano ed esotico, e ti avvisa che hai superato la metà del tempo del viaggio, hai fatto il famoso giro di boa.  Potessi trasformarla in un oggetto sarebbe una lampadina rossa, che illuminandosi e  iniziando a lampeggiare ti dice: “Attenzione, il viaggio è di due settimane e già una è passata”. E’ una sensazione che ti avvolge interamente e visceralmente, accompagnata ad un misto tra già nostalgia del luogo che si sta visitando ed entusiasmo a procedere, completare l’esplorazione. Io non adoro particolarmente quella sensazione, spesso la fuggo, preferisco piuttosto procrastinare la partenza o non programmarla affatto per evitare che si presenti, ma è impossibile: fa parte del pacchetto e puntualmente ogni viaggio si ripresenta. Ci sono persone invece che adorano quella sensazione, fanno parte della categoria degli “organizzatori”, pragmatici, amanti appassionati del controllo. Quella sensazione per loro indica che il viaggio sta procedendo, che è tutto sotto controllo, che presto si potrà tornare a casa, alla vita normale e ricominciare a programmare e costruire la propria vita. Ho molta stima di queste persone, e non dico che io non sia così anche in parte, forse anche per motivi genetici e ambientali(grazieaddio sennò vivrei solo di energia e mangerei fiori), ma se si potesse decidere veramente, non tornerei mai da un viaggio.
Eccomi così nella stanza 711 del settimo piano d’ematologia, del vecchio e possente Regina Elena, con la mente invasa di partenze, ritorni, e immagini di posti lontani e vedo anche in questo luogo che poco ha dell’esotico e che per arrivarci non ho dovuto prendere nessun volo intercontinentale, quella lampadina rossa accendersi e iniziare a lampeggiare.
Forse aveva ragione la mia amica scrittrice, quando mi diceva con tono da esperta viaggiatrice: “Vedi cara Fra, i veri viaggi dell’anima si fanno tra quattro mura”.
Oramai è una settimana che sono qui, e queste quattro mura sono diventate care e appassionate amiche, confidenti. Non mi stupirei se iniziassero anche loro a confidarsi con me un giorno, ma forse è solo una mia paranoia da strizzacervelli che non sono altro.
E’ poco una settimana, e soltanto un'altra ne dovrà passare prima della mia uscita, ma è come se adesso fermandomi sentissi tutto il tempo del viaggio insieme e in lontananza mi pare di intravedere l’arrivo. E’ ancora una sensazione leggera in realtà, impercettibile, fa parte di quelle sensazioni che sono il risultato dell’invisibile scorrere dei giorni, ma che manifestandosi rendono quei giorni visibili.
E poi oramai mi sono ambientata nel galeone, mi sento a casa.
Mi sono sempre sentita che nessun luogo e tutti i luoghi mi appartenessero, e perciò anche qui ho attivato la modalità “colonizzazione degli spazi”.
Ritengo che sia fondamentale personalizzare il luogo dove si abita, anche se per pochi giorni, è necessario che l’anima si espanda anche materialmente, ed esploda come a  materializzarsi dello spazio.
Ieri mi è venuto a trovare un mio amico che sul cellulare ho memorizzato con “poeta”,  nel vero senso della parola perché compone brani in rima baciata in inglese,  ed oltre questo è una persona che sembra provenire da un'altra dimensione. Quando sto con lui mi sento tornare indietro di secoli, e anche i miei pensieri cambiano, e come per magia è come se iniziassi a sentire in sottofondo musica classica. E’ una delle persone più anacronistiche e brillanti che conosco, si è laureato in fisica a vent’anni, è un brillante pianista, scrive romanzi e riesce a parlare per ore di argomenti che non appartengono a quest’epoca; ieri, per esempio, ha intrattenuto un discorso sulla differenza di pensieri che potrebbero avere Bach e Mozart ogni mattina al loro risveglio. Lui dice sempre di me che se fossi nata cinque secoli fa avrei sicuramente fondato una religione pagana o avrei fatto la fine di Giovanna D’Arco, forse non ha tutti i torti.
Arriva nella mia stanza trasalito e molto stanco, il viaggio per arrivare qui non è breve se non si ha una macchina e si vive al nord della città, è più di un’ora con i mezzi romani, e poggia sulla mia scrivania, che oramai sembra quella di un ufficio con tanto di abatjour, furtivamente introdotta e pile di libri, due piccoli volumi pieni di aforismi indiani di due guru sconosciuti indiani. Qui ci vorrebbe una parentesi sui guru indiani: da quello che mi sembra di aver capito, se sei indiano, sei un guru. Oramai la parola “guru”, è stata depredata del suo significato originale e sembra essere un appellativo che molti così presunti si affibbiano nella speranza di irretire spaesati e “ingenuotti” occidentali in cerca dell’illuminazione. I veri guru, sono quelli che non dicono di esserlo, ma questo è un altro discorso. Eccoci così di fronte a pagine e pagine di aforismi degli sconosciutissimi e presunti guru e con tanti fogli da riempire. Io adoro gli aforismi, forse perché sono una fan dell’essenzialità, e del simbolo. Ridurre tutta la realtà ad una sola parola, spogliarla della sua "prolissità": è un sogno che vivo continuamente. Dopo circa un’ora di attento lavoro di selezione, ascoltando musica rigorosamente classica o vedica,  abbiamo tappezzato la camera con aforismi e frasi di ogni genere, se ci penso è come aver dato voce a quelle pareti osservatrici.
A tempo di Mozart, la camera si è trasformata, ha assunto anche lei una sua identità, gli abbiamo dato la possibilità di esprimersi, anche se in maniera un po’ criptica ma efficace.
Lo scopo? Ovviamente risvegliare le coscienze.
Lascio immaginare le facce di medici e infermieri che ogni volta entrando nella mia stanza si soffermano ad osservare curiosi, e distratti queste frasi che popolano la 711.
Bene, questo mi rende felice. Mi rende felice lo stupore, la sorpresa, la curiosità, l’incanto, la luce negli occhi di chi per un istante si chiede se possa essere possibile credere che “Il reale non teme il tempo”, oppure “L’universo è il tuo maestro”; credo che sia così perché è la stessa luce che sento nei miei occhi.
Mi addormento perciò anche stasera, serena, galleggiando tra aforismi e palloncini colorati e l’ultima frase che mi viene in mente è “Non è  il mondo che deve migliorare, ma il tuo mondo di guardarlo”.
Forse sto avendo un’overdose di aforismi.
Ma come dire: “Tutto accade come desideri, purché lo desideri”.


martedì 14 febbraio 2012

Festa dell'amor proprio



Esercizio per oggi, prima di andare a dormire:


Scrivi una lettera d'amore per te.
Declina tutto l'amore che hai nei tuoi confronti. Non ci sono limiti d'amore, e di superlativi. Ogni sigola lettera di ciò che scriverai sarà colma e rigonfia d'amore, melensa e passionale.
Prima di scrivere mettiti comodo, ascolta una canzone che ti fa rilassare ed entrare in contatto con te stesso profondamente, una di quelle canzoni che quando l'ascolti il tuo cuore sembra diventare leggero ed staccarsi dalla terra. In quello stato li, con un foglio bianco, la tua penna preferita,  siediti ad un tavolo, assicurati che tutto sia in ordine, e scrivi.
Lasciati andare.
Riponi la lettera così scritta sul tuo comodino, e rileggila domani appena sveglio.
Conservala in un cassetto, insieme alle lettere degli amanti più romantici incontrati nella tua vita.







lunedì 13 febbraio 2012

Le corde



"La musica può nascere solo quando le corde si trovano in uno stato in cui possiamo dire che sono nè troppo tese nè troppo allentate. Esiste uno stato in cui le corde non sono ne troppo tese, nè troppo allentate. Esiste un punto mediano, il giusto mezzo: la musica affiora solo quando le corde si trovano in quello stato intermedio. Un musicista esperto allenta e tira le corde fino a portarle  in quel punto, prima di cominciare a suonare".
(tratto da un discorso del Buddha sulla via di mezzo)


Esite quel punto mediano, in cui la musica della vita può scorrere naturalmente senza forzature o sprechi di energia. Un metodo per osservalo  è quello della meditazione.

Esercizio per oggi:
1) Assumi  una posizione molto comoda, non devi sentire nessun tipo di tensione nel corpo e nei muscoli
2) Chiudi dolcemente gli occhi, lasciali cadere senza sforzo alcuno, come se non potessi controllare le palpebre
3) Porta l'attenzione al tuo corpo e lascialo rilassare profondamente
4) Crea silenzio dentro di te
5) Inizia ad ascoltare il respiro che entra ed esce dal tuo corpo
Semplicemente stai con ciò che sta accadendo, qui ed ora. Osserva se ci sono punti nel tuo corpo e nella tua mente di eccessiva tensione, se ci sono invece parti che non riesci neanche a percepire perchè sono troppo assopite. 
Prova a portare equilibrio in queste parti.
Durata dell'esercizio: 10 minuti.


antica arpa celtica.





venerdì 10 febbraio 2012

#10
Ci hanno insegnato a credere che negativo sia sinonimo di realistico
e positivo di illusorio.
-Susan Jeffers-


Quanto può essere potente e devastante questa credenza? Io allora dico che non c'è nulla di più realistico di ciò che è positivo e la negatività è un illusione nella quale facilmente si può cadere.
ho deciso di essere felice perchè fa bene alla mia salute.


giovedì 9 febbraio 2012

La mente

Tratto dal Dhammapada, il libro più amato dal canone Buddista.


III La mente

33 Come il fabbro raddrizza una freccia,

così il saggio governa i suoi pensieri,

per loro natura instabili, irrequieti

e difficili da controllare.

34 I pensieri fremono e si dibattono

per sfuggire alla morte

come pesci tolti alla loro dimora liquida

e gettati sulla terraferma.

35 La padronanza della propria mente,

ribelle, capricciosa e vagabonda,

è la via verso la felicità.

36 Il saggio osserva continuamente

i propri pensieri,

che sono sottili, elusivi ed erranti.

Questa è la via verso la felicità.

37 pensieri, incorporei ed erranti,

vagano lontano.

Raccoglili nella caverna del cuore

e liberati dalla schiavitù

del desiderio e della morte.

38 Come può una mente agitata

comprendere la legge eterna?

Se la serenità della mente è turbata,

la saggezza non può manifestarsi.

39 Il risvegliato,

colui la cui mente è serena

e ha trasceso il dilemma del bene e del male,

è libero da ogni timore.

40 Questo tuo corpo è fragile

come un vaso di coccio.

Fai della tua mente una fortezza

e combatti le tentazioni

con l'arma della saggezza.

41 Ben presto questo corpo

giacerà sulla terra,

privo di coscienza,

inutile come un ceppo bruciato.

42 Nessuno, neppure il tuo peggior nemico

può nuocerti quanto una mente indisciplinata.


43 Ma una mente disciplinata

è un'alleata preziosa.

Nessuno, né tua madre, né tuo padre,

né i tuoi amici,

può esserti di altrettanto aiuto.






Il self-control secondo il Darmapada, rende impenetrabili dai demoni dell'attaccamento, dipendenza, dal dannoso utilizzo della mente. Creare intorno a sè una protezione diventa fondamentale. Una mente disciplinata è un allenata preziosa.

mercoledì 8 febbraio 2012

Neve sciolta


Quando la neve cade lo fa senza rumore, si deposita lentamente su tutto ciò che trova e lo trasforma.

Ci sono popolazioni che sono abituate a vivere con la neve, hanno gli occhi pieni del suo colore, la pelle abituata alla sua consistenza, il naso sempre freddo.  Indossano abiti consoni, si muovono con destrezza tra i ghiacci e insegnano ai loro figli come spalare la neve davanti casa.

In alcuni posti invece arriva una volta ogni venti anni e  quanto questo accade è qualcosa che non si dimentica facilmente, diventa mito, leggenda, simbolo.

Quando accade un imprevisto, un eccezione, tutto è possibile, tutto diventa possibile se si vuole. 

Adoro quando la realtà ci porta al di fuori degli schemi comuni.

Ci si ritrova così in macchina, con le catene, su quello stesso asfalto che d'estate brucia soltanto a guardarlo, a Roma, e accanto a te una signora vestita da montagna di tutto punto con tanto di sci, e ci si chiede se per caso si è finiti in un film di Fellini.

Si osservano fenomeni del tipo "abbandono la macchina a caso", che si prolunga  finchè la neve non si è sciolta definitamente.  Surreale attraversare intere strade con macchine ammucchiate ai lati, la sensazione è di essere gli ultimi sopravvissuti all’apocalisse.

C'erano  anche quelli della serie "cammino in mezzo alla strada per non scivolare e vengo travolto da una macchina che sbanda” , fenomeno che prolungato anche dopo lo scioglimento della neve, tanto ci avevano preso gusto.

I più belli erano come al solito i bambini, ma devo dire che la neve a Roma può riportare tutti quanti nel loro mondo anche per poco: impossibile resistere alla tentazione di raccogliere un po’ di neve e  tirarsela, solo il fatto di pensarlo determina l’esperienza di regressione.

I più romantici invece hanno lasciato le loro tracce : cuori, dichiarazioni d’amore, come  si fa sul bagnasciuga della spiaggia, messaggi che hanno la durata di una mareggiata .

E per ultimo ma più importante: il silenzio. La neve si è depositata come un enorme cappotto insonorizzante sulla città impedendo ogni rumore, se non quello dello scricchiolare dei passi.

Un intera città paralizzata: messa ko da una misteriosa sostanza bianca, che altro non è che acqua.

Sono stati  giorni incantati, sospesi, e io ne ho approfittato per fare una provvista di immagini e momenti preziosi che mi serviranno per il rietro in battaglia. E' come se mi fossi preparata per un letargo.

Si dice che gli orsi prima del letargo facciano una bella scorta di salmoni che serviranno loro per poi affrontare il periodo di lungo riposo. Ho così corso questi giorni su e giù per il fiume in cerca dei salmoni più grossi, più temerari e più coraggiosi dei quali nutrirmi prima di affrontare il lungo “sonno”.

E’ stato bello uscire venerdì sera dopo l’annuncio del coprifuoco, con le catene alla macchina, esplorare la città, la trasformazione di luoghi così familiari impovvisamente nuovi e inesporati, ritrovarsi in un bar come in una baita di montagna a sorseggiare vino rosso e fuori la neve che non smetteva mai di scendere.

La neve caduta ha ricomperto ogni traccia, ogni sentiero già percorso e ha così preparato il terreno per quello che dovrà avvenire.

La sensazione era quella di avere una tavolozza nuova, pulita, candida sulla quale poter ricominciare a mischiare i colori e comporre un nuovo dipinto.

Oramai è tutta evaporata e atro non rimane che piccoli mucchietti di materia inconsistente grigiastra ai bordi delle strade.

Dove è finita tutta quella neve?

Ci vuole così poco per dimenticare a volte, soprattutto quando si tratta di eventi dei quali se ne parla così tanto.

La velocità della comunicazione, tutto facilita lo svanire veloce di ciò che accade, la memoria si accorcia. La fretta di tornare alla normalità uccide il momento di cambiamento in cui tanto può essere compreso. Se si è abili osservatori, e se si sta imparando a coltivare la lentezza, si possono imparare a scorgere le tracce di neve anche là dove non ci sono apparentemente e ci si può accorgere che i fiocchi si sono depositati anche dentro l’anima in un posto dove difficilmente potranno sciogliersi.

Considero sacro quello spazio, dove tutto è simultaneamente adesso, dove io sono in ogni luogo, in ogni tempo e in ogni fiocco di neve sciolto.

Custodisco come un ogetto prezioso l’immagine di ciò che è stato,  lo ritrovo nel mio corpo, nel mio respiro, profondamente collegato.  Io non sarei senza quella neve sciolta, sarei diversa, sento e vedo  i solchi dell’esperienza che scavano il letto del fiume della vita.

Io sciovolo con lei, verso valle.
In un modo o in un altro tutti i fiumi devono arrivare allo stesso mare.

sentire i fiocchi sciogliersi con calore della mano.



giovedì 2 febbraio 2012

Esercizio di consapevolezza

Vorrei condividere un libro importantissimo per me che mi è stato consigliato dall' insegnante del trainning Mindfulness che ho frequestano lo scorso anno, una donna che stimo molto e un insegnante per me in tanti modi.
Questo libro è in inglese e si chiama "Here For Now. Leaving with Cancer Through Mindfulness." di Elena Rosenbaum:  è la storia di una donna, che praticava già Mindfulness da diverso tempo, e si trova a dover affrontare un linfoma e decide di applicare l'approccio Mindfulness per tutta la durata della sua malattia e guarigione.
E' un libro che mi ha aiutato molto e lo consiglio vivamente. Sarebbe bello  averlo  tradotto in italiano, per questo vorrei condividere qualche cosa tratta dal suo libro che mi è stata molto d'aiuto.
Intanto questo è il libro:


Il breve esercizio che segue è stato tradotto direttamente dal libro, ho scelto questo perchè ho pensato che può essere utile a chiunque. Avere consapevolezza di ciò che ci fa star bene è una chiave importantissima per poi decidere ogni volta che si vuole, di sentirsi in quella condizione.
Basta pensare alla mutevolezza dell'umore, ecco secondo me è possibile inserirsi in quegli spazi di mutevolezza e piantare un seme di serenità per i momenti seguenti.



Piccoli sostegni: Un esercizio di Consapevolezza


Fattori interni, cosi come i fattori esterni possono giocare un ruolo importante nel favorire o meno il tuo benessere. Può essere utile prenderti un po' di tempo per notare che cosa adesso nella tua vita ti aiuta  star bene, incoraggia la tua creatività. Ci sono spesso cose semplici che noi diamo per scontate  che possono fare la differenza in come ci sentiamo. Per esempio, noto che sono sensibile alla luce e ai giorni di sole. Noto che sedendomi in una stanza che è luminosa  e dipinta di un colore allegro può tirarmi su di spirito. Trovo che vestirmi di colori brillanti può  influire sul mio umore. Amo la sensazione dell'acqua sulla mia pelle quando faccio una doccia. Rispondo positivamente ad un sorriso. Ognuno puo riconoscere nella propriva vita situazioni analoghe.


METTITI IN UNA POSIZIONE COMODA, ora, e permetti al tuo corpo, alla tua mente di rilassarsi, prenditi qualche momento e chiediti: Che cos'è che favorisce il mio benessere? Che cos'è che mi fa stare bene?
Lascia che la tua mente vada indietro di qualche giorno e prendi nota di cosa ti abbia aiutato a stare in uno stato di quiete e ti abbia confortato o che ti abbia fatto sorridere.  Fai scorrere nella tua mente tutte le situazioni che hai vissuto, i momenti in cui puoi dire che una determinata cosa ti faceva sentire in pace, felice, leggero/a.  Chiameremo quei gesti, quelle azioni che favoriscono quello stato di benessere "sostegni". Adesso potresti per il momento appuntarti che cosa ti viene in mente e continuare  a fare attenzione a ciò che fai durante le tue attività, aggiungendo alla lista i vari "sostegni" che già usi nelle tue relazioni, nel tuo lavoro e ambiente.
Semplicemente nota che cosa la tua mente ti suggerisce, lasciando andare qualsiasi pensiero di giudizio o di autocritica per che cosa ancora non sia nel giusto posto. Se ne hai voglia  potresti  tenere un diario giornaliero in cui appunti ciò che noti, pensieri, sensazioni, che emergono e facilitano il tuo benesere e ti facilitano la vita.
Ricorda le cose piccole sono importanti. Più riesci ad essere consapevole di questi momenti che ti portano pace e gioia, più hai possibilità di essere felice.



Questo è un esempio di approccio Mindfulness.
Mindfulness vuol dire: porre attenzione consapevole non giudicante al momento presente.
Letteramente significa mente-piena, che sarebbe mente consapevole. Ci sono infiniti modi di tradurre questa parola e si può comprendere meglio il suo significato studiando e praticando. Negli Stati Uniti esiste la "Stress Reduction Clinic", nello stato di Massachusetts, che applica regolarmente questi protocolli di riduzione dello stress ottenendo importanti risultati,  verificati scientificamente.
Qui il sito della clinica.

Per chi volesse interessarsi, consiglio di leggere i libri di Jon Kabat-Zinn, medico statunitense,  fondatore e direttore della Clinica per la riduzione dello Stress presso l’Università del Massachusetts e professore nel dipartimento di Medicina preventiva e comportamentale.

Segnalo inoltre il sito del Centro Italiano Mindfulness di cui sono socia, e sul quale potete trovare tante informazioni utili, link, e insegnanti validi.





mercoledì 1 febbraio 2012

Desideri

Credo profondamente nell'immaginazione che precede la realtà.
Lanciamo l'immaginazione al di là dell'ostacolo, ci sono infinite possibilità di essere.
Ciò che fa male è opporsi a ciò che potrebbe accadere.
Non smettere mai di desiderare.


Esecizio di oggi:
Accendi una candela, e siediti ad un tavolo ordinato e pulito. Chiudi gli occhi e concentrati.
Scrivi su un foglio bianco tre desideri: uno per il mondo, uno per chi vuoi bene ed uno per te.
Piega il foglio, mettilo in una busta chiusa. Scrivici su il tuo  nome e il tuo indirizzo. Vai dal tabaccaio, compra un francobollo e spedisci la lettera. Quando arriverà la lettera, brucia il foglio e lancia le ceneri in un corso d'acqua corrente oppure nel lavandino di casa. I tuoi desideri così torneranno alla madre terra e si realizzeranno nel momento più opportuno in armonia con le leggi naturali.



Tortellini in brodo

E' così bello sentirsi piccoli ogni tanto.
Il mondo assume contorni fantastici, e i contorni degli oggetti iniziano a trasformarsi.
Oggi sono stata tutto il giorno in giro con mia madre, mi sono fatta coccolare e ci siamo prese una pausa insieme. Mangiare in un posto carino, sentirsi che ogni cosa può essere così semplice.
Fa bene al cuore.
Ho camminato per Roma per negozi, mi sentivo una bambina di 8 anni attaccata alla sottana della mamma che ad ogni colore e luce stava li a dire "guarda, guarda, questo! e questo!".
Dimenticarsi di cosa vuol dire crescere non vuol dire non voler vedere, vuol dire guardare con altri occhi la realtà e stupirsi ad ogni riflesso di luce, guardare incuriositi i personaggi che si incontrato nel centro di una città.  Stupirsi di quanto ognuno sia così unico, di quanta creatività e voglia di sopravvivenza vi sia in ogni persona che si incontra, è veramente uno dei miei passatempi preferiti.
Come lo è guardare per terra le pietre, ognuna così diversa. Io ho sempre amato le pietre, c'era anche un periodo che le collezionavo e ricordo mia madre che mi diceva, davanti all'ennesima pietra " e questa dove la mettiamo? Pesa troppo! La devi lasciare qui." Ed io così mi ostinavo ad incastrare i miei tesori dentro la valigia in mezzo ai calzini e a nasconderle affinchè non  si vedessero. La gioia al ritorno a casa, lascio solo immaginarla. Ho ancora da qualche parte scatole intere di pietre, per me preziose come diamanti.
Stasera è stata la prima sera d'inverno, vera.
Da qualche parte sta nevicando.
Il freddo inizia a farsi sentire, lo percepisco che si insinua negli spifferi delle finestre e passa prepontemente da sotto il portone di casa emettendo un quasi impercettibile sibilo. Mi da quasi fastidio, ho sempre pensato di voler comprare quei cuscini lunghi che si mettono sotto le porte, ma li trovo così kitch, dal quello ai cuori gonfiabili con scritto "tvb" è un attimo. E così mi tengo il sibilo. L'inverno lo riconosco da quel rumore. Ogni casa ha il suo. Se ci passi vicino con i calzini troppo leggeri te ne accorgi subito, perchè l'aria gelida passa attraverso e arriva fino a dentro le ossa.
Suona il campanello di casa, sono all'incirca le nove di sera.
E' il mio amico venuto a casa per cenare insieme e poi vedere un film. Quanto gli voglio bene. Ogni tanto mi perdo nei suoi occhi enormi blu, che non si sa come, sono riusciti a conservare quella meraviglia che si prova soltanto davanti un enorme palla di zucchero filato.
Mi piace pensare che se avessimo tutti e due all'incirca 8-10 anni stasera sarebbe la nostra serata di giochi e avventure in mondi fantastici.
Quando ero piccola, andavo al mare in uno dei posti più belli del mondo, la Sardegna, ed erano tre mesi interi di giochi, bagni, castelli di sabbia, capriole. Ma c'era anche un mondo immaginario che mi accompagnava, anzi ci accompagnava: non ero sola in queste avventure c'era anche la mia sorellina. E perciò erano tre mesi di: tribù dei piedi neri, allevamenti delle cavallette, il monondo delle fate e delle streghe, guerra d'acqua, di casa tra i pini. C'era una realtà parallela che ci aspettava ogni estate, puntualmente. E questa avventura iniziava a Giugno e si concludeva a Settembre, quando poi si tornava a casa, ci si guardava nello specchio del bagno e ci si vedeva così diversi, e ancora era possibile accorgersi di  quanto in fretta si cresce.  Erano mesi incredibili, ricordo quegli anni con un calore, e una nostalgia infinita.
Stasera a cena, mi sono sentita tornare indietro indietro a quel periodo.
Forse tutto è cominciato dalla scodella con i tortellini in brodo, che abbiamo deciso di cucinare,  per me icona inconfutabile dell'infanzia. I tortellini in brodo per me sono un istituzione, dovrebbero fare una giornata l'anno dedicata a  questo prezioso piatto. Nenche mi ricordo quanto tempo era che non li mangiavo. Ricordo che da piccola mi accorgevo che era inverno perchè mia madre mi preparava i tortellini in brodo. Poteva anche fare sotto zero, ma non voleva dire nulla finchè non mangiavo quei fagottini ripieni di carne che galleggiavano nel brodo bollente oleoso.
Mi siedo così a tavola con il mio compagno di giochi, e ci godiamo il nostro piatto, con gioia.
Che bello veramente potersi sentire che niente e nessuna cosa veramente può toccarti perchè tu fai parte del mondo, è il tuo mondo e puoi costruirlo e disfarlo come meglio credi.
Dopo mangiato poi ci mettiamo a vedere un film di storie immaginarie,  sotto le coperte mangiando un budino al cioccolato con tantissima panna spray sopra. Goduria. E come se non bastasse ne mangiamo un altro con molta più panna questa volta: la panna verrà spruzzata ad ogni strato di cioccolato per evitare di rimanerne sprovvisti.
Eccomi  tornata a 8 anni, con gli occhi spalancati, il naso sporco di cioccolato e il mondo nelle mie mani.
C'è una frase del film che mi ha colpito tanto, ad un certo punto, l'insegnate di musica dice al bambino: "vedi, non so tutto.. però il segreto è mantenere la mente sempre aperta affinchè tutto possa entrare".
Ed io voglio provarci, il più possibile. Chiudere gli occhi, riaprirli e trovarmi d'incanto in una foresta: adesso il lampadario si è strasformato in una luna piena luminosissima, ci sono fiori giganteschi per terra, i divani sono diventati delle palafitte dove si può dormire. Le lampade con i paralumi sono invece delle enormi campane che se suonate fanno fermare il tempo normale e fanno scorrere il tempo delle favole e delle magie: ogni minuto di tempo reale corrisponde a un mese nella foresta incantata. E tutto ciò che è immaginato è reale.
Ma ecco subito uno sguardo all'orologio mi riporta nella realtà.
Si è fatto veramente tardi, e  abbiamo ampiamente superato l'ora delle streghe, è giunta l'ora di andare a riposare e continuare queste avventure insieme al bellissimo Morfeo che già lo vedo che mi aspetta a braccia aperte pronto a cullarmi e cantarmi dolci parole  per facilitarmi il passaggio..
Abbraccio forte il mio amico, e gli sussurro all'orecchio: "Sogni d'oro, d'argento e pietre preziose".





I Tortellini in Brodo: icona invernale. Ripieni prosciutto crudo e parmigiano.

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