venerdì 30 dicembre 2011

Incontrare un amica

Mi vesto con cura.
Oggi è il secondo giorno che posso uscire dopo più di dieci giorni di “arresti domiciliari” (così ho chiamato io miei periodi alterni di forzata reclusione) a causa delle difese immunitarie troppo basse dopo un ciclo di chemioterapia.
Mi vesto con molta cura, devo dire che questa anche è una cosa nuova, una delle tante cose. Ho imparato ad avere più cura anche di ciò che indosso.
Semplicemente capendo cosa mi fa stare bene, ho capito anche cosa mi fa star bene indossare.
Amo i collant, mi piace vestire con vestiti morbidi.
Ieri ho visto il mare, e mi ha portato via una maliconia che avevo accumulato in questi ultimi giorni.  Dedicherò altri post al mare, questo non lo esaurirebbe.
Mi preparo ad incontrare un amica, che non vedo da tanto tempo.
Sono felice (si lo ridico non voglio essere monotona ma la felicità non è monotona), dentro mi me inizio a creare quello spazio per accoglierla e per far si che tutto quello che vivrò con lei nelle prossime ore rimanga conservato nel mio cuore fino alla prossima volta che ci vedremo, che sembrerà un attimo dal nostro ultimo incontro.
Sono due giorni che finamente sto bene, ho passato giorni di profonda debolezza fisica e adesso che finalmente ho tutte le mie forze di nuovo con me mi sembra di avere tutto il mondo nelle mie mani.
Io non so cosa mi accadrà,  ma so soltanto che adesso, ora sono connessa con me stessa. Mi sento viva, sento ogni cellula del mio corpo che sorride con me, e mi ringrazia. Mi ringrazia per prendermi cura di lei.
E nient’altro conta.
Mi tengo per me questa meravigliosa sensazione e non vedo l’ora di incontrare la mia amica.
Chiamo un taxi, arriva in 2 minuti, salgo sul taxi.
E il tassista che appartiene alla categoria dei tassisti “fatte na manica di cazz.. tuoi, no grazie!” mi chiede cosa mi sono fatta alla gamba, vedendomi con le mie fide amiche stampelle.
Ecco ora, parentesi più che dovuta…Ho inventato un vasto repertorio di storie, perchè un’altra cosa, se non la cosa più difficile  da gestire di tutta questa storia, (almeno per me, ma so che è una cosa cumune) più della chemioterapia, più dell’ospedale, più delle stampelle e della sedia a rotelle, sono le reazioni degli altri… e quindi mi diverto a tirar fuori il mio vasto repertorio di “storie del femore”, che vanno da: pallottola di amante geloso, caduta sugli sci, anca slogata sul cubo in discoteca, ecc.. e quindi anche in questo caso con il tassista mi dopo la sua domanda, temporeggio un pochino osservando tutti gli scenari possibili cercando di individuare il più adatto alla sitazione..
Mi fermo,  e mi dico. La mia storia vera per quanto spaventosa possa essere per alcuni.. è la mia storia. E come ho deciso di raccontarla qui, perchè mai fingere con un tassista curioso!
E quindi  rispondo”guardi.. ho un linfoma al femore!” con uno dei sorrisi più smaglianti che ho.
La faccia del tassista si trasfoma, e diventa il tassista più dolce della storia dei tassisti. Ecco non so forse l’effetto osmotico della mia felicità, forse è veramente il tassista più dolce della storia dei tassisti. Mi inzia ad augurare tutta la felicità del mondo, e che nel 2012 mi possa liberare delle stampelle.. ecc.. insomma una bella dose di ottimisto e felicità. Mi porta all’appuntamento passando da villa borghese, che io amo alla follia e mi regala un po’ della sua storia.
Forse le conseguenze alle nostre azioni, alle nostre reazioni dipendono dalla nostra intenzione che le precede. Insomma, io oggi sono felice, e tutto ciò che emano è questo. Il linfoma è soltanto una parte di me, una preziosa parte. E il mondo mi riponde con questo atteggiamento. Spero di essermi spiegata.
Arrivo all’apputamento, un classico e un po’ antico bar del cento di roma, dove si respira un aria che è così tanto diversa dall’aria che si respira per le strade, dove i camerieri sono sempre gli stessi da decenni, sorrido, mi piace.
Mi tuffo nelle braccia della mia amica e le sussurro all’orecchio "sono felice di essere qui”.

1 commento:

  1. Elogio dei piedi
    di Erri De Luca

    Perché reggono l’intero peso.

    Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.

    Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
    Perché portano via.

    Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.

    Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.

    Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.

    Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.

    Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.

    Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.

    Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.Perché non sanno accusare e non impugnano armi.

    Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.

    Perché sono stati crocefissi.

    Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.

    Perché, come le capre, amano il sale.

    Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.

    Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.

    Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.

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