martedì 12 giugno 2012

Raggio-terapia

Sono le 8.12 del mattino e sono in macchina, è una giornata di sole di quelle che arrivano dopo due giorni di pioggia e temporale e quindi vale “doppio”, mi dico, ed è proprio così: si apprezzano le giornate di sole intensamente e veramente soltanto dopo qualche giorno di pioggia.  C’è quella sensazione nell’aria di leggerezza e finalmente le nuvole si sono spostate lasciando spazio ai raggi del sole di riscaldare con il calore giusto che ci si aspetta in questo periodo dell’anno: già troppo caldo per quest'ora del mattino.
Mi viene da ringraziare la pioggia, le nuvole nere dei giorni passati  che affollano il cielo e lo nascondono e ti fanno pensare che sia tutto perduto : sembra che le nuvole stesse stiano per crollarti addosso e tu non sei forte abbastanza da reggere tutto quel peso che finirebbe con l’annientarti.
Ma succede che quando meno te l’aspetti, le nuvole si aprono e lasciano al loro posto il cielo azzurro,  e ti liberano dall’idea di dover portare sopra di te tutto quell’infinito peso (che poi altro non è che acqua condensata).
Bene: mi trovo adesso sull’Aurelia, la grande e maestosa via Aurelia che collega Roma alla Francia costeggiando metà Italia, e per un attimo penso di fare quel viaggio e continuare dritta finchè non finisce: sbattermi contro il confine immaginario che separa Italia-Francia, e oltrepassarlo.
Ho tantissima voglia di viaggiare, di salpare, di prendere il largo e non tornare più, e sto mettendo a dura prova la mia pazienza in questi mesi. Ma dopotutto che cos'è la pazienza se non la ruota di scorta della macchina che ci permette di attraversare la vita?
Questa volta non posso continuare la strada e mi tocca svoltare  prima e fermarmi, alla clinica che si trova proprio lì per la seduta quotidiana radioterapia che ho iniziato da qualche settimana.
Sono in anticipo, pensavo di metterci molto di più, ma il traffico di Roma è stato clemente questa mattina, sarà stato il sole che ha invogliato tutti i moticiclisti a lasciare la macchina parcheggiata e sfrecciare tra le strade di roma sopra le loro due ruote.
Mi accosto dall’altro lato della clinica, c’è un giornalaio dove acquisto una  di quelle riviste complicate che mi piaccino tanto e piene di articoli fitti che già so rimarrà per diverse settimane sulla mia scrivania, ma proprio per questo mi piace perché non fa parte di quelle riviste usa-e-getta piene soltanto metà di pubblicità e l’altra metà di parole incollate solo per parlare che finiscono automaticamente nel cestino dopo una giornata.
Apro la rivista, a caso, e leggo una citazione di Marcel Proust “il vero viaggio di scoperta non è vedere nuovi mondi, ma cambiare occhi”.
Immediatamente quel senso di fuga e di voler continuare a tirar dritto sull’Aurelia fino alla costa azzurra, svanisce, alzo lo sguardo e davanti a me scorgo la scritta “Matrix Bar”.
E capisco di essere arrrivata all’inizio di un nuovo viaggio.
Quel bar grigio e polveroso, ma con quella scritta al neon verde, immediatamente mi “risveglia” e sento che questa mattina la seduta di radioterapia non sarà soltanto una banale terapia.
Non credo che mai avrei potuto pensare di dovermi sottoporre ad un raggio che emani la potenza del sole concentrato su una parte del mio corpo. Già di per se questa è un esperienza stra-ordinaria. Immagino che quel raggio mi possa illuminare in qualche modo e che dopotutto anche nel film di Matrix, il protagonista ha dovuto assumere una pillola-farmaco per iniziare a “vederci chiaro”. E’ come se avessimo bisogno di qualche tipo di “aiuto” esterno per poter compiere il viaggio.
Entro nella sala della radioterapia: perfetto set di una pellicola di fantascienza.
Si entra nel “bunker” attraversando un enorme  porta blindata molto pesante che  assomiglia a quelle porte che dividono gli ambienti nel film starwars. La pesante e spessa porta di accesso conduce ad una grande sala in mezzo alla quale c’è questa macchina che sembra un incrocio tra quella che usano gli alieni quando rapiscono gli umani e fanno loro esperimenti di ogni tipo e un enorme microscopio.
Ci si posiziona sotto, sopra un materassino “personalizzato” con lo stampo del proprio corpo precedentemente preso e che servirà per riprendere la posizione nelle sedute successive e si resta  immobili aspettando che il tecnico faccia le sue manovre di routine. La figura umana all'interno della sala è l'unica cosa che mi riporta ogni tanto a ricordarmi che per fortuna o per sfortuna, che non sono su una navicella spaziale insieme ad E.T.
Ad un certo punto si spengono le luci e ci si ritrova al buio totale con fasci di laser rosso che puntano in ogni parte del corpo per allinearlo esattamente nel punto in cui poi il raggio andrà a trattare la zona interessata. Appena il posizionamento millimetrico è stato fatto, si accende una luce verde (un po’ simile a quella rossa delle diretta radio) e inizia a sentirsi un rumore meccanico che presumo sia quello dell’attivazione del raggio.
Questa esperienza alle 8 del mattino è ai confini tra l’onirico e il reale: ancora non ci si rende conto che la giornata è iniziata e si vive un esperienza veramente fantascientifica.
La radioterapia ho il sospetto che funzioni per effetto placebo, in realtà.
Non si sente nulla, è soltanto tanta scena (ovviamente nel mio caso il dosaggio è molto basso e dipende da soggetto a soggetto). 
Tutta questa operazione si conclude in pochi minuti.
Riemergo  in superficie uscendo dal bunker, il sole è così forte che mi devo mettere gli occhiali,  e mi chiedo se questa esperienza sia realmente accaduta o meno.
Alla fine cos’è che rende reale quello che viviamo?
Sono di nuovo in macchina, immersa nel traffico cittadino oramai, e guardo dall’altra parte della strada verso il “Matrix” e vedo la scritta che si allontana nello specchietto.
Mi sento più luminosa.

foto scattata poco prima dell'irraggiamento

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